QUESTI NOSTRI TEMPI ECCITANTI
Il romanzo di Dolan, Tempi eccitanti, parla di questo. Dell’identità come scoperta continua, in una narrazione che si svolge a Hong Kong — un Paese straniero rispetto all’Irlanda in cui è nata Ava, la protagonista. Delle relazioni come motore del traffico interiore di ognuno, con i suoi dolori e piaceri. Del sesso e della sessualità come lenti d’ingrandimento capaci di farci anche comprendere noi stessi. Una storia emozionante, uno stile asciutto e mai banale, un romanzo acclamato dalla critica del Regno Unito — per Sunday Times, Washington Post e The Guardian, tra i migliori del 2020. Un’autrice, accostata spesso a Sally Rooney, consapevole e solida che si farà strada.
Come sono state la sua infanzia e adolescenza in Irlanda?
«Sono nata a Dublino e per le abitudini locali, del mio Paese, è stato tutto assolutamente normale. Ho avuto un’infanzia come tante. Però, sa, la normalità della mia città potrebbe essere diversa dalla normalità delle altre città, dipende dalla cultura».
Che intende?
«Noi, ad esempio, non siamo granché inclini a condividere i nostri pensieri o le emozioni. Prenda mio papà: solo quando avevo già quattordici anni mi ha detto che suo padre, mio nonno, era morto quando lui ne aveva otto. Ecco, per noi cose del genere sono normali. La condivisione avviene in modi simili a questo, le persone emotivamente non si sbottonano come in altri Paesi».
È qualcosa che crede sia connaturato in voi?
«Sì e no. Siamo un Paese freddo e questa freddezza ce la portiamo dentro. Ma credo che il nostro modo di essere abbia anche a che fare con pezzi della nostra storia che, entrati di prepotenza nella memoria collettiva, ci hanno cambiati. Penso abbia a che fare con il colonialismo, ad esempio (si riferisce alla colonizzazione dell’Irlanda da parte dei britannici, ndr). Quando per generazioni un popolo convive con il dolore, questo poi diventa parte integrante di quel popolo. Con ciò non voglio dire che gli altri Paesi abbiano avuto una storia semplice, ma è sufficiente guardare alla lette
«NOI LA FREDDEZZA CE LA PORTIAMO DENTRO. PRENDA MIO PADRE: SOLO QUANDO AVEVO GIÀ 14 ANNI MI HA DETTO CHE SUO PAPÀ, MIO NONNO, ERA MORTO QUANDO LUI NE AVEVA 8»
ratura irlandese per rendersi conto di quanto questa parte della nostra esistenza abbia influito su di noi. Ci ha resi più diffidenti».
Voleva fare la scrittrice fin da piccola?
«No, direi di no. Mi è sempre piaciuto provare cose nuove, però. Non è mai stato importante di cosa si trattasse: è l’idea di cimentarmi in esperienze a cui non mi sono mai avvicinata a piacermi. Sarei diventata un’artista o una musicista, forse, se mi fossi accostata all’arte o alla musica invece che alla letteratura. Mi butto in tutte le nuove esperienze che mi si parano davanti, e la scrittura all’inizio era una di queste. Ha bussato alla mia porta, ci siamo incontrati quasi per caso, e io mi ci sono buttata».
Qualche anno fa le è stato diagnosticato l’autismo. Che effetti ha avuto sulla sua vita?
«Mi ha fatto capire quanto tutto ciò che mi circonda sia deformato dal mio sguardo. Mi chiedevo spesso perché non riuscissi a incastrarmi in quelli che reputavo fossero i miei posti nel mondo, e mi credevo sbagliata. Adesso posso notare le differenze tra me e chi ho attorno senza scadere io stessa in un giudizio sulla mia natura».
Lei si definisce queer, sessualmente “eccentrica”. È qualcosa che ha faticato a far capire a chi ha, o aveva, attorno?
«Sì e no. Difficilmente lo dicevo al liceo, le persone che lo sapevano erano poche perché lì l’ambiente era estremamente omofobico».
Ha subito maltrattamenti?
«Niente di fisico, nella maggior parte dei casi era violenza psicologica. Se avevi un rapporto di amicizia con un’altra ragazza che loro giudicavano troppo stretto, ti guardavano storto e sparlavano. Se negli spogliatoi posavi lo sguardo su un’altra ragazza per un lasso di tempo che loro giudicavano eccessivo, ti guardavano storto e sparlavano; anche se la mia esperienza è che le persone omosessuali, in casi del genere, tendono a mantenere eccessivamente lo sguardo basso per la paura di diventare sospette. La cosa peggiore
«LA DIAGNOSI DI AUTISMO MI HA FATTO CAPIRE QUANTO TUTTO CIÒ CHE MI CIRCONDA SIA DEFORMATO DAL MIO SGUARDO: PRIMA, MI CREDEVO SBAGLIATA»
sono complessi, pieni di incertezze e piccoli dolori che i protagonisti, a volte, paiono arrecarsi volontariamente. Amare è una forma d’odio?
«L’idea di amore che ha Ava poggia sulla sua perenne necessità di sentirsi apprezzata, qualsiasi cosa faccia. Quando non succede, soffre. Quando soffre, passa all’attacco. Quando passa all’attacco, arreca volontariamente dolore. Non credo che l’amore sia una forma d’odio, credo piuttosto che Ava abbia una concezione sbagliata di questo sentimento».
C’è anche sottomissione, nelle due relazioni.
«Il New York Times ha una rubrica, si chiama Modern love. L’autore ha scritto che “se vogliamo la ricompensa dell’amore, dobbiamo sottometterci al mortificante calvario di essere conosciuti”. Ciò che voleva dire è che legandoci a una persona, questa vedrà lati di noi che non avremmo voluto vedesse mai nessuno. Ecco, più che di sottomissione serve arrendevolezza. Ma non è arrendevolezza al partner, è arrendevolezza al sentimento».
Non c’è modo di fuggire questa condizione di dipendenza che a volte può diventare dolorosa?
«Non credo. Molti fanno finta che questa dipendenza non esista, ma così non si arriva da nessuna parte, si soffre e basta. Bisogna solo prenderne atto e cercare di capire come e quanto gli altri ci influenzino. Sicuramente scegliere con attenzione di quali persone circondarci aiuta molto. Se il nostro destino è quello di dipendere da chi abbiamo accanto, allora sarebbe bene decidere prima da chi dipenderemo». Lei è troppo giovane per ricordare qualcosa degli anni del Conflitto Nordirlandese, che è parte di ciò di cui stiamo parlando adesso, però sento che per lei è una questione importante.
«Mio padre è cresciuto dall’altra parte del confine, ha vissuto tutto sulla sua pelle, e tanto mi basta per far sì che per me sia pure importante. È un trauma dell’intera nazione. Lo sarà per sempre».
Ci sono i rapporti di coppia, c’è il sesso, c’è l’omosessualità. C’è la solitudine, c’è differenza di classe, c’è la politica. In questo romanzo c’è tutto. Cosa racconterà in futuro?
«L’argomento in sé non mi importa. Nei miei romanzi trova posto perché le vicende avvengono nel mondo e il mondo, quindi, deve per forza entrarci, nelle vicende. Voglio concentrarmi sulle emozioni. Sui sentimenti. Gelosia, dolore, paura: il mondo è fatto anzitutto di questo, e di questo voglio scrivere. Del mondo primordiale nel contemporaneo».