Corriere della Sera - Sette

LE LEZIONI DI CAFFÈ PER CAPIRE SUPER MARIO

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La formazione con il professore che ragionava di riformismo negli anni Ottanta. La verità sul fantasma del Britannia (che lui lasciò subito dopo il discorso per rientrare al lavoro)

guida del Comitato che ha riscritto le regole della governance e ridisegnat­o le norme delle società quotate in Borsa.

La lunga questione sui “tecnici” con lui ha poco senso: gli incarichi fin qui ricoperti hanno sempre avuto una dimensione politica. Direttore generale per dieci anni al Tesoro, nominato quando presidente del Consiglio era Giulio Andreotti e ministro del Tesoro Guido Carli. Dieci anni nei quali lo Stato ha dovuto far fronte alla crescita del debito pubblico e all’accordo-obbligo voluto dal commissari­o europeo, Karel Van Miert, per l’avvio della più grande campagna di privatizza­zioni dell’Unione Europa. Un metodo di lavoro, il suo, che portò alla nascita

Silvio Berlusconi. E poi la Bce. E allora vale la pena raccontare anche altre cose legate alla sua personalit­à. Una figura centrale nella sua formazione è stata quella del professor Federico Caffè, scomparso volontaria­mente e improvvisa­mente il 15 aprile 1987. Nato a Pescara e considerat­o una delle menti più raffinate del riformismo italiano, quando in Italia di riformismo erano in pochi a parlare e proporre soluzioni al di là degli schieramen­ti ideologici. Un titolo per tutti, tra i libri di Caffè: La solitudine del riformista («Il riformista è ben consapevol­e d’essere costanteme­nte deriso da chi prospetta future palingenes­i, soprattutt­o per il fatto che queste sono vaghe, dai contorni indefiniti

Rosse. Senza dubbio la formazione economica di matrice keynesiana non fu solo teorica ma la spinta per trovare soluzioni: l’assunzione di responsabi­lità proviene da quel momento, da quelle lezioni. Sarebbe utile rileggere il libro di Ermanno Rea, L’ultima lezione, nel quale un passaggio molto importante viene dedicato a un altro economista di quella squadra, Fausto Vicarelli, morto in un incidente stradale a soli cinquant’anni. Quel gruppo di pensiero ha tracciato molte linee e molte scelte del Paese.

Riappare spesso il fantasma di una nave nel racconto dell’Italia degli anni Novanta. A bordo del HMY Britannia, il panfilo della Regina d’Inghilterr­a, ancorato nel giugno

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