«LA CRISI DI SIGONELLA MI SALVÒ LA VITA»
umane più autentiche. Sentimenti, passioni, sensazioni: tutta la sfera emotiva, che nel corso della modernità – come ci ricorda la sociologa Eva Illouz in Intimità fredde – è stata repressa per esaltare il pensiero razionale, più funzionale alle finalità economiche e produttive. È la componente più rappresentativa della comunità, quella che ci riporta alle nostre radici naturali.
Sul piano strutturale la pandemia è stata un’accelerazione in avanti, un balzo repentino che ci aspettavamo più in là, come la diffusione dello smart working, la didattica a distanza, i meeting on line, la consegna a domicilio di beni e servizi, la dipendenza dalla tecnologia. Il futuro ci è piombato addosso in anticipo, costringendoci a un frettoloso adeguamento. Ha rappreso il nostro tempo in un grumo d’impotenza e diffidenza; ha esasperato la situazione d’isolamento, rendendola endemica. Non solo una fase di passaggio da cui riemergere presto, ma una costrizione permanente.
Non c’è una normalità da restituire. C’è invece una realtà da affrontare. E quando ci si trova di fronte a cambiamenti radicali, a poco valgono le esperienze pregresse. Le nuove tecnologie ci avevano già preparati a fare a meno dell’esperienza, ad affrontare il nuovo senza l’ausilio di un sapere sedimentato. Così la società in cui ci stiamo inoltrando non rappresenta una frattura insanabile col passato, ma la sua evoluzione. Non tutto tornerà come prima, ma neppure fermerà il nostro bisogno di comunità, la profonda esigenza di sentirsi parte di un tutto.