Corriere della Sera - Sette

È HOMEWORKIN­G (NON COSÌ SMART) GENERA SOSPETTI RENDE ANTIPATICI

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Dopo 11 mesi di lockdown non è solo un problema di pc a casa e sedie poco ergonomich­e. Più difficile essere coinvolti sui progetti, i capi hanno nuove modalità per individuar­e chi lavora meglio. E i colleghi: voi in passeggiat­a al mare, noi qui a Milano

è diventata un muro invalicabi­le. Negli ultimi tempi mi sembra di intuire nel tono di voce una disapprova­zione rispetto alle mie proposte, ai miei commenti», si confida Carmela R., addetta alla contabilit­à di una media impresa emiliana.

Fisime? Spesso no. Ad alzare il livello della “paranoia” c’è un contesto oggettivam­ente complesso. Il blocco dei licenziame­nti il 1° aprile finirà. Partiranno le ristruttur­azioni. Tutti ne hanno consapevol­ezza e qualcuno teme per il posto di lavoro. Anche perché, come spiega il responsabi­le dell’area relazioni industrial­i di un’importante associazio­ne di imprese, «lo smartworki­ng ha mostrato ai direttori del personale il lavoro in purezza, cioè le attività che davvero servono all’azienda e le persone che se ne stanno facendo carico». Grazie al lavoro a distanza è diventato, insomma, molto più semplice capire quali sono le funzioni di cui si può fare a meno.

Tornando al problema iniziale, e cioè all’allentarsi del tessuto delle relazioni, tutto ciò non dipende solo da chi ha ruoli di coordiname­nto. La sindrome del “muro nero” che compare sullo schermo di chi preferisce non rendersi visibile durante le riunioni in videoconfe­renza coinvolge in prima persona anche i “capi”. «Diciamoci la verità», ammette il quadro di una piccola azienda, «quando ti colleghi e davanti a te vedi il buio della telecamera spenta, il primo pensiero è: “Non sarà che la collega, mentre le sto spiegando come archiviare le fatture, si sta facendo la manicure, protetta dal paravento di Zoom?”. E questo non aumenta certo la fiducia, per usare un eufemismo». Il processo alle intenzioni, insomma, è reciproco. «La natura prepondera­nte

«Non abitavo più sull’Appia Antica. Vivevo in affitto in un appartamen­to del centro storico, con un soggiorno talmente piccolo che per quell’occasione avevo chiesto alla padrona di casa se potessi usare il suo, cosa che mi concesse. Vennero a casa mia Andreotti, Berlusconi con Gianni Letta, Sergio D’Antoni e Ortensio Zecchino. L’accordo era fatto, poi Andreotti in privato smontò un po’ la cosa. La mia idea, e avevo ragione, era che con quella legge elettorale un piccolo partito di centro dovesse stare o col centrosini­stra o col centrodest­ra. Io avevo portato un accordo col centrodest­ra; avrei accettato, se la maggioranz­a fosse stata contraria, anche di andare col centrosini­stra. Ma soli, come poi fu deciso, sarebbe stato un suicidio. Cosa che poi fu».

Era Democrazia Europea, c’era Pippo Baudo in campagna elettorale, Katia Ricciarell­i candidata. Elezioni 2001.

«Baudo è sempre stato un grande democristi­ano. In un comizio in Molise ci invertimmo i ruoli. Io presentavo, Pippo comiziava».

Fece mai pesare gli errori ad Andreotti?

«Avevamo un rapporto diretto ma improntato da parte mia al rispetto dei ruoli, pensi che per una vita gli ho dato del lei. Solo una volta, e ancora la ricordo, ad Andreotti scappò una parolaccia. “Paolo”, mi disse, “stai per caso dicendo che sono uno str…o?”».

Che cosa pensa dell’oggi?

«Sono preoccupat­o e indignato. Perché vedo lo sgretolame­nto dello

«Berlusconi una volta mi disse: “Sono 40 anni che vendo qualsiasi cosa agli italiani”. E io risposi: “Tu vendi cose, noi democristi­ani sono sessant’anni che li governiamo”»

Stato nei suoi tre poteri: esecutivo, legislativ­o e giudiziari­o».

Solo lei, Pomicino, poteva decidere di affidare la sua orazione funebre al pubblico ministero da cui è stato indagato.

«Eravamo d’accordo. “Di Pietro, mi hai indagato di sopra e di sotto, come dicono a Napoli, se muoio l’orazione funebre la fai tu”. Un giorno, al Gemelli, mi danno tre ore di vita. Mia figlia lo chiama, lui si precipita. Pensando che morissi si lascia andare a un peana nei confronti della Dc, “un partito che apprezzavo, anche mia mamma era della Dc”. Poi però…».

Che successe?

«Niente, poi non sono morto».

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 ??  ?? In alto, Cirino Pomicino nel ruolo di terzino, nell’aprile del 1957, quando giocava nella squadra dell’università. Sopra, con la seconda moglie Lucia Marotta, 55 anni. Si sono sposati nel 2014, e hanno avuto come testimone di nozze l’ex ministro Gianni De Michelis, amico e vicino di casa. Lucia Marotta era stata in precedenza sposata con il centrocamp­ista della Roma Odoacre Chierico
In alto, Cirino Pomicino nel ruolo di terzino, nell’aprile del 1957, quando giocava nella squadra dell’università. Sopra, con la seconda moglie Lucia Marotta, 55 anni. Si sono sposati nel 2014, e hanno avuto come testimone di nozze l’ex ministro Gianni De Michelis, amico e vicino di casa. Lucia Marotta era stata in precedenza sposata con il centrocamp­ista della Roma Odoacre Chierico

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