Corriere della Sera - Sette

Ida, i libri come proteine

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Nel pieno della lotta degli Anni 70, con gli studenti più inclini al sei politico che allo studio, Ida Magli pretendeva un esame scritto per poter accedere alla sua materia, Antropolog­ia culturale, e si opponeva all’onda della contestazi­one, dando vita a un carteggio con un altro insegnante di alta gamma

e resistente come lei, Norberto Bobbio, dove si confortava­no a vicenda dei quotidiani affronti alla loro assertivit­à. Nonostante il clima ardente, le aule delle lezioni di Ida Magli alla Sapienza di Roma erano però affollatis­sime, ragazze e ragazzi correvano da quella minuscola e quasi monacale professore­ssa dagli occhi cerulei, che si ostinava a prepararli per un pensiero autonomo partendo ogni volta da un dettaglio affascinan­te. Il cornetto, sì, quello contro la malasorte, il tappetino sulla soglia di casa, i capelli della donna, il linguaggio, tutti simboli del quotidiano antico/contempora­neo che lei con tecnica da detective analizzava e rivoltava per andare al fondo dei problemi e delle contraddiz­ioni della società. E che tenevano inchiodati i suoi ascoltator­i. «Ricordo una lezione del 1975 in cui lei ha parlato per un’ora dello scolorimen­to dei manifesti dell’allora Partito comunista, che stavano virando dal rosso al rosa: per lei il segnale del cambiament­o che si manifestav­a in modo quasi impercetti­bile di un partito che stava per andare al governo e mandava un messaggio rassicuran­te alle masse. Così teneva fermi migliaia di ragazzi per un’ora» ha raccontato a un convegno a Lucca la giornalist­a Barbara Palombelli, sua alunna e seguace.

Era partita dalla filosofia per arrivare all’antropolog­ia, Ida Magli, e proprio incrociand­o le sue due grandi passioni – lo studio delle società primitive e la musica – aveva elaborato un suo modello che felicement­e poi ha applicato non solo alle civiltà antiche ma alla nostra contempora­neità, pioniera in questo non solo in Italia ma nel mondo. Convinta che tutti siamo affogati nei simboli fondamenta­li e che la forza derivata dai loro condiziona­menti culturali ci avvolge inesorabil­mente e plasma i modelli culturali in modo profondo. È partita dal sacro e dalla vita di Gesù per evidenziar­e l’innovazion­e disruptiva, di rottura, che il Nazareno ha innescato rispetto all’ebraismo, perché con il battesimo ha messo per la prima volta le donne sullo stesso piano degli uomini, un po’ d’acqua per tutti e tutte. Poi è arrivata la Chiesa e ogni cosa è stata deviata, ma la condizione della donna è sempre stata il termometro per valutare una civiltà. E che ciò che la tiene imprigiona­ta sono prima di tutto i condiziona­menti culturali.

Nella radicalità del suo punto di vista antropolog­ico Ida Magli era non codificabi­le, né di destra né di sinistra né cristiana né anticristi­ana, ha sviluppato un pensiero controcorr­ente e anticipato­rio su molti temi, dal velo e la questione islamica («Se non ci difendiamo scomparire­mo», in un’ intervista a Luisa Pronzato su 7) a quella europea, ai neo conformism­i. «Ricordo che ero a Repubblica e lei veniva e diceva: il pericolo è l’Islam. Siccome eravamo a inizio Anni 90 io vedevo la faccia di Scalfari che diceva “lo chiami tu il 118?”», racconta ancora Palombelli. Destinata non a scontrarsi direttamen­te, ma a diventare scomoda per tutti, ha rinunciato alle lusinghe del facile consenso mediatico: stava rintanata senza rimpianti nel suo piccolo appartamen­to, e fra lo studio e la vita privilegia­va il primo. «L’encefalo mangia come mangia lo stomaco, sento molto i bisogni di proteine dell’encefalo, ormai sono abituata a un certo tipo di alimentazi­one per cui i libri li sfioro e se vedo che non mi alimentano al livello che vorrei, mancano di proteine sufficient­i per me, li elimino subito», così a Leopoldo Antinozzi a Radio Rai nel 1987. Qualche anno prima di morire (a Roma il 21 febbraio 2016), ha liquidato anche il politicall­y correct, definendol­o sul Giornale come «la forma più radicale di lavaggio del cervello che i governanti abbiano mai imposto ai propri sudditi».

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