Corriere della Sera - Sette

«LA GONNA NON ERA PER ME»

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Thomas, a te cosa piace?

Victoria: «I suoi assoli!». Thomas: «Sì! Nel disco c’è musica analogica, tutti con jack all’amplificat­ore, c’è sinergia, come un live, c’è crudezza. Dell’album ho in testa “dimmi le tue verità”. Dimmi chi sei veramente, cosa pensi in base alla tua individual­ità. Ognuno ha le sue verità».

Dimmi una tua verità. Nel manifesto la tua paura è quella di non scoprire chi sei.

Thomas: «Quella è una provocazio­ne, amo la musica perché mi fa togliere la maschera. Una mia verità, astratta forse, è la ricerca della sintonia con le persone che hai di fronte, capire chi ho davanti».

Su Instagram scrivono che sorridi poco. È vero?

Thomas: «Diciamo che prima ero più cupo. Ora sorrido di più».

Damiano: «A me del disco piace la frase “sei soltanto tu ad avere la paura del buio”. Il buio è l’ignoto, e non dobbiamo temere ciò che non conosciamo. Non ci piace chi punta il dito verso chi non è spaventato dicendo “sei un freak, sei un tipo strano, un deviato”. Noi crediamo nell’individual­ità, nell’unicità, nella possibilit­à, nella diversità».

Qual è il tuo buio? Cosa ti spaventa come un bambino?

Damiano: «Non avere niente da dire. Il mio silenzio mi spaventa. E restare solo. Sono pronto a mostrare alcuni lati di me agli altri?».

Ethan: «A me piace “preparo il mio valzer con il diavolo da quando ero piccolo”. L’ha scritta Damiano, io la interpreto così: voler seguire una propria strada porta ad affroncome un tipo strano, che non segue uno schema predefinit­o. Questo riguarda la paura di integrarmi. Un giorno ne ho parlato con i miei, e mi hanno detto di fare le mie scelte, che se non fanno male a nessuno e mi fanno stare bene sono giuste a prescinder­e: è la strada da seguire».

Thomas: «C’è stata massima apertura mentale da parte dei miei. Mio padre mi ha fatto, tra virgolette, entrare nel flusso della musica».

Victoria: «Le mie figure genitorial­i sono state fondamenta­li, da subito. Quando ero più piccola e, tra virgolette, insicura, potevo farmi condiziona­re da persone esterne: alle elementari volevano mettermi la gonna, per la divisa, ma io ero supermasch­iaccia, stavo super a disagio con abiti femminili, ero disperata e loro sono stati supercom

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