Sentirsi dei draghi ci farà comunque bene
neanche fino al mercato di quartiere, un tempo unico svago settimanale. Amici sotto farmaci per paura di perdere il lavoro, dopo il reddito; oppure bloccati in una serie tv infinita, circolare e inconcludente. Insomma, un manicomio. Se si riuscisse a calcolare il costo psicologico della pandemia come se fosse un Pil, ne vedremmo delle brutte.
Da quando Berlusconi tentò di sostenere che siccome i ristoranti erano pieni non c’era la crisi economica (non era ancora uscito La società signorile di massa di Luca Ricolfi, che spiega bene l’apparente contraddizione), in politica era stato messo il bando all’argomento dell’ottimismo. Che invece conta moltissimo. I comportamenti individuali, infatti, non si sommano soltanto, si moltiplicano, e il risultato dà un tono generale alle loro comunità. Anzi, c’è di più. C’è il teorema di Thomas.
William Thomas, un sociologo americano di cento anni fa, fissò infatti in una frase questo enunciato cruciale delle società di massa: «Se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse saranno reali anche nelle loro conseguenze». Vuol dire che se tutti i correntisti di una banca pensano che la banca stia per fallire, anche se non è vero, e corrono a ritirare i risparmi, la banca fallirà davvero. Un altro sociologo, Merton, la definirà più tardi «una profezia che si autoavvera».
Questo vale per il panico; ma vale anche per il suo contrario, l’ottimismo. Negli Anni 60 del Novecento due psicologi americani condussero un esperimento in una scuola elementare: dissero agli insegnanti che grazie a degli speciali test erano riusciti a identificare i venti scolari con maggiori abilità intellettuali; e facendosi giurare che li avrebbero tenuti segreti, fecero loro i nomi dei bambini. Non era vero nulla: i ragazzi erano stati scelti a caso. Ma alla fine dell’anno i risultati dimostrarono che quei venti erano andati veramente meglio, oltre a mostrarsi più allegri, simpatici, sereni. E l’unica spiegazione plausibile stava nel fatto che, seppure inconsciamente, i maestri li avevano curati di più, riservato loro più attenzione e affetto, perché credevano di sapere che avrebbero fatto grandi cose. La profezia, insomma, si era autoavverata.
Ecco, la vera ragione per cui ci piace Draghi e ha i rating di approvazione che ha sta nella speranza che lui abbia su di noi lo stesso effetto: se tutti pensiamo che le cose miglioreranno, davvero miglioreranno, perché tutti ci comporteremo come se.
Naturalmente non è così semplice. Il virus risponde alle leggi del mondo fisico, più assolute di quelle del comportamento umano. E anche l’economia ha la sua solida vischiosità. Ma sognare non costa nulla. Anzi: è proprio ciò che dobbiamo ricominciare a fare.
Per la prima volta a mia memoria, nelle consultazioni per la formazione di un governo si è parlato di «depressione». Pare sia un cruccio di Draghi, quello di invertire il mood del Paese, il suo stato d’animo. Sappiamo a che cosa si riferisce. Figli che non vogliono più andare a scuola la mattina perché vedono che i padri restano a casa, e viceversa. Nonne che non se la sentono di camminare