Di ENRICO ALLEVA foto di ANNE BERRY
gni, il cantamimo, istrione e ballerino dalla fisicità e dall’estensione vocale impressionanti, capace di restituire tonalità femminili ma anche cavernosi canti di gola. «Il nostro primo provino», rammenta Patruno, «fu al Derby davanti al fondatore e musicista Enrico Intra: cantammo Il cimitero è meraviglioso, tanto per mettere in chiaro che non avremmo fatto sconti sul nostro coraggio creativo».
Tutti vestiti di nero, bombetta e ombrello d’ordinanza, una voglia matta di cantare e dissacrare: nascono I Gufi e arriva immediata la querela per una ballata recuperata da Patruno dalla tradizione abruzzese, Sant’Antonio allu desertu, che resiste paziente alle tentazioni e agli scherzi del demonio fino a non poterne più mettendolo «col culo a mollo». «Questa cosa non piacque alla moglie di un commissario di polizia di Chianciano che bloccò il brano per un anno», ricorda Patruno. Quando finalmente la canzone venne eseguita, all’inizio del concerto Nanni Svampa annunciò: «Se c’è fra il pubblico qualche altro pirla che vuole denunciarci, lasci pure perdere perché il Pubblico Ministero chiese l’assoluzione con formula piena, pace e bene».
«Passavamo le giornate sempre insieme», ricorda Patruno con un sorriso di sincera nostalgia, «ci divertivamo, litigavamo, lavoravamo con un entusiasmo maniacale. Mi mancano tutti. È stata una stagione irripetibile, spazzata via dalle nuove tendenze della musica facile, prima il rock, oggi quella ridicola messinscena del rap. Non è arte, è porcheria, dai. L’altro giorno ho visto quello lì che ha il nome dell’armatore... Achille Lauro, vestito in calzamaglia e si vedeva tutto. Anche noi avevamo i nostri costumi da scena provocatori, ma quello era teatro e poi parliamo di mezzo secolo fa, eravamo avanti».
La magia dei Gufi comprende un patrimonio sterminato di ballate della tradizione milanese (come La balilla, Porta Romana, Pellegrin che vien da Roma), nobilitate da quattro voci magnifiche e complementari accompagnate da quel polistrumentista di Patruno prestato al folclore. «Ho fatto io da maestro agli altri Gufi, musicalmente parlando, ma loro erano eccezionali per altri aspetti artistici, uno diverso dall’altro».
Accanto a brani di irresistibile
Da trenta anni esperti primatologi statunitensi (gli etologi specializzati in scimmie) osservano in Uganda, al Kibale National Park, una gigantesca colonia di scimpanzé. Questo enorme gruppo sociale, circa 150 individui, è irritualmente numeroso dato che di solito questi nuclei consistono di una cinquantina di individui. Gli studiosi, coordinati da John Mitani e David Watts, distinguono con facilità i singoli scimpanzé, le vicende comportamentali nel tempo, il loro continuo dipanarsi, la ripartizione delle risorse di spazio territoriale e di cibo. E i rumorosissimi conflitti. Molto probabilmente grazie ad annate ricche di cibo e altre condizioni ambientali favorevoli dai circa 150 individui iniziali si è arrivati a duecento. Con il crescere del numero, sono aumentati gli eventi aggressivi. Nel tempo gli scontri individuali si sono fatti sempre più violenti, come fedelmente registrato da Mitani e allievi a partire dal 2015. La crescente aggressività all’interno della specie (intraspecifica) in questa località è aumentata fino ad alcuni scontri così sanguinosi da risultare mortali. Al momento attuale, il grande gruppo iniziale si è suddiviso in tre distinti e belligeranti gruppi separati: uno occidentale, uno centrale, uno orientale.
Stanno facendo il giro del mondo le foto toccanti dello scimpanzé Basie, ben prima di essere attaccato e ucciso, mentre mostra i denti, a metà tra sorriso forzato e gesto di
In Uganda un gruppo di 150 scimmie è vissuto in pace per decenni. Quando gli individui sono diventati 200 è invece successo qualcosa: si sono divisi in fazioni e hanno cominciato a uccidersi. Dunque la violenza di cui l’uomo è capace è “naturale”? Un etologo invita a non tirare conclusioni affrettate
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2 ironia, c’è anche un recupero di canti anarchici, culminati con l’album Due secoli di resistenza, e del repertorio della mala, su tutti La povera Rosetta, struggente storia di una prostituta che «battea la Colonnetta» di San Lorenzo, uccisa dalla «mano nera» della mafia. E Patruno accenna: «Dormi, Rosetta, dormi, giù nella fredda terra, a chi ti ha pugnalato noi gli farem la guerra».
I Gufi diventano presto un fenomeno che oltrepassa i confini artistici del cabaret e quelli geografici della Lombardia. Il grande jazzista Giorgio Gaslini collabora con loro e recupera perfino un canto del Seicento veneto, L’avvelenato, che ritrova nell’interpretazione dei quattro tutto il suo dolente splendore. Creazioni di due giganti come Enzo Jannacci e Ivan Della Mea irrom
3 pono nel repertorio del gruppo e, nonostante la barriera del dialetto, entrano nella storia della musica italiana: molti protagonisti della canzone d’autore, dal genovese De André all’emiliano Guccini passando per il romano De Gregori, ammettono di essere debitori di questa band milanese: «Un giorno», rivela Patruno, «all’aeroporto vedo Francesco De Gregori che viene verso di me e mi abbraccia, dicendo: “Ma lo sai che voi siete stati la mia ispirazione?” Che bello».
I Gufi ci trascinano nella nebbia milanese attraverso la vita, accartocciata dentro una città opulenta quanto indifferente, del «desperà», quello che non è capace di stare al mondo; o in quella dello scaricatore del «Navili», costretto a un lavoro infame, unica eredità per il figlio
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Giuan («la mia speranza giamò finida, giamò brusada»), o la ballata animalista per l’uccisione di El me gatt, con vendetta violenta nei confronti della Nineta, la killer «con la gamba sifulina e il nas sviser e gros» che porta il protagonista alla reclusione in riformatorio e all’amara conclusione: «L’è la giustisia che me fa tort, Nineta è viva ma el gatt l’è mort».
Come per le grandi band, l’alambicco distilla magie solo nell’equilibrio di dosi e ingredienti: e quando un John Lennon o un Peter Gabriel se ne vanno è la fine dei Beatles e dei Genesis. Per i Gufi è Gianni Magni che di punto in bianco — è la fine degli anni Sessanta — decide di tornare alle origini teatrali lasciando i Gufi volare da soli ed estinguersi, salvo i vani tentativi successivi di ritrovare l’armonia perduta. Magni se ne andrà definitivamente nel luglio 1992, a 51 anni. Lo seguiranno Nanni Svampa nell’agosto 2017, senza compiere gli ottant’anni («con lui eravamo i due impegnati politicamente del gruppo», ammette il cantamusico), e lo scorso 22 gennaio Brivio. «La tv non ha avuto nemmeno una parola per lui», si lamenta Patruno: «Solo Enzo Iacchetti a Striscia la notizia lo ha ricordato. Il resto: che pena».
Patruno sta preparando il suo terzo libro, Amapola, dove racconta l’incontro con «veri artisti» come Arturo Benedetti Michelangeli, Alberto Sordi, Monica Vitti, Wanda Osiris, Vittorio Gassman, Joe Venuti e, naturalmente, i Gufi, suoi compagni di volo per sempre.
«Un giorno all’aeroporto vedo Francesco De Gregori che viene verso di me e mi abbraccia dicendo: “Ma lo sai che voi siete stati la mia ispirazione?”. Quando Brivio è morto, in tv lo ha ricordato solo Iacchetti a Il resto: che pena»
rituale minaccia, al fotografo che lo disturba tra le fronde ombreggianti della foresta ugandese. A Basie hanno strappato il pene. Il giovane primatologo Aaron Sandel (Università del Texas), era fortunosamente presente allo scimpanticidio. Brutta fine anche per Erroll, (un testicolo divelto), maschio di basso “rango” sociale dunque più vulnerabile nell’economia sociale del gruppo, e forse periferico durante gli spostamenti del branco, nonostante la spiccata coesione e cooperazione che caratterizza la specie: che in effetti è continuamente dedita a risse chiassose e a rabbiosi rituali di minaccia, come afferrare un lungo ramo fogliuto e sbatterlo per terra emettendo una varietà di suoni (tra l’urlo rauco e l’abbaiamento) che segnalano ai conspecifici intenzioni, emozioni, e dunque propensione all’attacco: tutte strategie di solito intese a far sì che uno dei due contendenti arretri o più definitivamente si allontani dall’altro.
Nel gennaio del 2018, tre maschi del gruppo occidentale hanno inseguito e ucciso un giovane di 15 anni (lo scimpanzé vive in cattività fino a più di 60 anni). Alcuni maschi del gruppo occidentale hanno attaccato e soppresso tre maschi del centrale. Killer e vittime sono tutti maschi che in passato avevano verosimilmente condiviso scorribande a caccia di frutta e nidi, risse adolescenziali più o meno giocose e reciproci delicati spulciamenti che ne vincolavano affinità e alleanze. Parti degli organi sessuali maschili sono stati estirpati.
Il dibattito arde nel mondo degli esperti.
L’aggressività dello scimpanzé era stata pittorescamente descritta dalla mitica pioniera etologa e primatologa Jane Goodall a cui l’antropologo Leakey affidò il compito di infiltrarsi con grazia silenziosa e infinitevole perseveranza in un gruppo sociale di scimpanzé tanzanesi, alla Gombe Stream National Reserve. Un laboratorio a cielo aperto divenuto nei decenni fonte di osservazioni dettagliate e continuative sulle vicende famigliari e di gruppo di queste scimmie antropomorfe: farsi accettare dal gruppo animale finché la presenza dell’etologo divenisse del tutto indifferente divenne requisito professionale di base.
Il libro della Goodall In the shadow of man (Collins, 1971, L’ombra dell’uomo, Rizzoli, 1974) ha entusiasmato generazioni di futuri etologi e dei tanti lettori incuriositi delle complesse vicende esistenziali di una specie di scimmia antropomorfa così simile ad Homo sapiens e ha aperto un varco rumoroso tra etologia e antropologia fisica (e culturale?) e altre variegate discipline umanistiche. Testo di eccellente valore letterario la cui ripubblicazione, con adeguata nota che ne spieghi alcuni aspetti oggi superati, potrebbe essere davvero auspicabile.
A Basie hanno strappato il pene. Brutta fine anche per Erroll (un testicolo divelto), maschio di basso rango sociale, dunque più vulnerabile nell’economia del gruppo e forse periferico durante gli spostamenti del branco
La forza di 5 uomini
La mia generazione di ricercatori se ne nutrì. Con il collega e amico Tony Collins (suo braccio destro, condividevamo una stanza al dipar
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