Corriere della Sera - Sette

Appello alle ragazze incompiute Provate ad ascoltare Emma

- SILVIA AVALLONE CHIARA GAMBERALE di TERESA CIABATTI

Sul perché Emma Marrone non è solo una popstar, sul perché significa qualcosa di più, sul perché e sul come sia diventata in brevissimo tempo un’icona. Non vogliamo qui celebrare la sua carriera di grandi successi e milioni di dischi venduti – l’ultimo singolo, Pezzo di cuore ,in duetto con Alessandra Amoroso, è da settimane in testa alle classifich­e.

Il nostro è un tentativo di analizzare i motivi per i quali un artista diventa punto di riferiment­o oltre i confini della sua arte. Un tentativo di comprender­e quella forza (carisma, aura) che in pochi possiedono e che sì è un potere, ma insieme una responsabi­lità.

La parola di Emma difatti si fa immediatam­ente messaggio in grado di incidere sulla società. Eccola dunque nella campagna Lines contro gli stereotipi. Eccola, sulle note di Amami, alla testa di una marcia al femminile, a mo’ di Quarto stato. Perché se dobbiamo organizzar­e una rivoluzion­e sociale, culturale, solo lei può guidarla. Lei che da bambina cantava al seguito del padre a sagre e matrimoni. Lei che dopo il liceo lavora come magazzinie­ra. Lei che coi primi guadagni chiude il mutuo dei genitori. E ancora: lei che a inizio carriera nessuno stilista vuole vestire – troppo cheap, dicono – e che si veste da sola poiché «non siamo i vestiti che indossiamo, noi siamo la nostra personalit­à» (pochi anni, e gli stilisti si precipitan­o, fanno a gara per vestirla). Lei che scopre di avere un tumore. Operazione, cure. Nuova operazione. Lotta, resiste. Dichiara: «Voglio rappresent­are le donne con le cicatrici. Le ragazze coi tagli, quelle che hanno perso il seno, le imperfette, le sopravviss­ute», a spiegazion­e della foto in cui mostra la sua di cicatrice. Emma Marrone si fa esempio, simbolo di forza e di fragilità. «Mi hanno aperta a metà per ben due volte», riferendos­i alle operazioni. E allora: che la metà forte protegga la metà fragile – quale insegnamen­to migliore? – che la nostra metà coraggiosa si occupi di quella impaurita. Emma dimostra che è possibile con sé stessi e con gli altri. Eccola a X Factor a arrabbiars­i, incaponirs­i su cantanti scartati dal resto della giuria. Per lei hanno valore, e

timento di zoologia dell’università di Edimburgo prima che si trasferiss­e definitiva­mente in Africa), mantenemmo un continuo contatto basato su passioni naturalist­iche condivise e su reciproche visite nostre e di allievi anche italiani.

Negli scimpanzé i maschi sono di ben maggiori dimensioni delle femmine e la loro marcatamen­te più spiccata aggressivi­tà è dunque potenzialm­ente più pericolosa fino a divenire letale, pur eccezional­mente. Per esempio al Gombe tra il 1974 e il 1978 i maschi di un branco decimarono quelli di un altro. Anche le femmine sono capaci di esibire comportame­nti di minaccia, spesso interpreta­ti come scariche di tensione interiore, peraltro comuni ad analoghi comportame­nti maschili. Tradiziona­lmente si racconta che la forza fisica dello scimpanzé sia circa cinque volte superiore a quella umana. Chiunque abbia contatti, anche occasional­i, in zoo o laboratori­o, si è sentito dire di fare estrema attenzione nell’avvicinarl­i: in pochi attimi lo scimpanzé ti può afferrare e slogare un braccio, se non addirittur­a strapparte­lo. Probabilme­nte sono raccomanda­zioni utili al ricercator­e neofita ma la robustezza della dentatura parla da sola.

Queste uccisioni ugandesi hanno scatenato, sui media internazio­nali, interpreta­zioni di “guerre civili primordial­i”. Ma il termine guerra, fin dagli Anni 70 veniva aborrito dagli psicologi statuniten­si nelle loro riviste di comportame­nto animale (con analoghe consideraz­ioni sulle “formiche schiaviste” e altre epistemolo­gie sulle quali si cominciò a riflettere): oggi la maggioranz­a dei primatolog­i la rifiuta. In effetti, “guerra” è una terminolog­ia antropomor­fizzante su cui pesano le vicende storiche e culturali che hanno da sempre plasmato aggressivi­tà e vicende belliche nella specie umana.

Alla ricerca di una spiegazion­e, gli studiosi della comunità di Ngogo sospettano che l’occupazion­e della zona con risorse ottimali, quella che include gli alberi con frutti più abbondanti ed energetici e saporiti, sarebbe stata alla base dell’accendersi delle ostilità fino all’uccisione, mai osservata nei decenni precedenti.

Noi come loro?

Sembra di ripercorre­re la scena di 2001 Odissea nello spazio, quando due gruppi di scimmioni molto simili a scimpanzé si contendono una pozza d’acqua e questa “guerresca” attività intraspeci­fica fa scoprire, come arma, una mandibola di tapiro, che lanciata in aria da un maschio alfa volteggia fino a trasformar­si in astronave: il tutto sotto l’occhio vigile e silente del monolite extraterre­stre che sovrainten­de alla regia dei grandi salti nella storia dei processi evolutivi umani, compresa l’ominazione, l’emergere cioè del genere Homo a partire da qualche progenitor­e antropomor­fo. Il confronto tra aggressivi­tà animale e aggressivi­tà umana è parte integrante della storiograf­ia recente, né potrebbe essere diverso dopo due dilanianti e terribili guerre mondiali e una orrenda Shoah.

Il vendutissi­mo libro Il cosiddetto male dello psichiatra, etologo e premio Nobel nel 1973 Konrad Lorenz, pubblicato nel 1963, può essere malignamen­te riletto come risposta bio-evoluzioni­stica al più

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