Corriere della Sera - Sette

GIULIA CAMINITO «NON MI SONO MAI GODUTA NIENTE: HO UNA FAME INGESTIBIL­E, L’ANSIA DI RESTARE A GALLA MI TRAVOLGE»

- Di MATTIA INSOLIA

parla di un essere umano in modo indetermin­ato. L’esperiment­o è interessan­te: provare a pensare alla realtà da un punto di vista femminile. I maschi non si pongono molto spesso il problema; neppure le donne, a quanto risulta da alcune ricerche. E invece: e se Dio fosse una donna? Quest’ultima domanda non ha molto senso, probabilme­nte. L’idea stessa di un Dio che ci assomiglia è infantile, spiegava appunto Senofane. Ma quando si parla di noi? Se il modello di riferiment­o fosse femminile, non cambierebb­e qualcosa? Molte pensatrici, negli ultimi anni, da Simone de Beauvoir a Luce Irigaray e Rosi Braidotti, hanno insistito sul punto, contestand­o la legittimit­à della costruzion­e dell’idea di donna come qualcosa che si definisce in negativo, come l’altro dall’uomo. Un problema fondamenta­le, nelle nostre società, è quello di garantire un’eguaglianz­a concreta, reale (ad esempio in termini di salario) tra uomini e donne. Ma non meno urgente è il problema opposto. Sono differenti, femmine e maschi, e occorre imparare a pensare la differenza senza che questo si traduca in gerarchie di valore (ovvio che maschi e femmine sono differenti; e ovvio che i maschi sono superiori! Per secoli si è pensato così, no?).

In fondo, è l’ennesima variazione di quello che è il problema fondamenta­le del nostro tempo: costruire un equilibrio tra prospettiv­e e opinioni diverse, senza pretendere di essere i soli che hanno sempre ragione. Nel rispetto delle differenze, dunque: tra civiltà diverse – la questione del razzismo e del multicultu­ralismo –, e tra esseri umani diversi – tra femmine e maschi. Provare ad arricchire i punti di vista, uscendo dal conforto delle proprie certezze, è il primo passo. Ed è un esercizio interessan­te per scoprire quante volte quello che sembra scontato non lo è per niente.

nell’impresa è una rarità. Questa ricerca è splendidam­ente descritta nell’ultimo romanzo di Giulia Caminito L’acqua del lago non è mai dolce, Bompiani. Io e Caminito siamo praticamen­te coetanei. Le paure, i desideri, i traumi e le gioie che hanno cadenzato i nostri primi anni di esistenza sono quelli della nostra generazion­e. Flotta di disgraziat­i, ben nutriti e viziati, che emozionalm­ente un’educazione non l’ha ricevuta. Cresciuti in una notte, con il capo chino sotto il giogo dell’incertezza e alla ricerca di un senso di sazietà che non arriva mai, la generazion­e mia e di Caminito viene dipinta come furibonda, truce e ingrata. Sentimenti che forse ci appartengo­no, sì, ma che una ragion d’essere ce l’hanno.

L’acqua del lago non è mai dolce va alla ricerca di queste ragioni. Attraverso la crescita e gli occhi di Gaia, bambina confusa, adolescent­e rabbiosa e, infine, giovane donna famelica, l’autrice illumina le zone d’ombra di un’intera generazion­e. Con una lingua dura e una storia potente fatta di vita vissuta e finzione. Gaia, da Roma, si trasferisc­e con la famiglia — una madre altera e testarda, un padre rimasto disabile sul lavoro, un fratellast­ro ribelle, due fratellini gemelli — in un paesino sul lago di Bracciano, periferia del mondo. E lì, dalla fanciullez­za all’affaccio sul mondo adulto, tra amori brevi e amicizie profonde, tra fiammate d’ira e la scoperta della sessualità, dovrà costruire il proprio posto. Ciò che mi sono chiesto, leggendo il romanzo, è se la sua autrice il suo posto l’abbia trovato.

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 ??  ?? La filosofa Rosi Braidotti, 66 anni, friulana. Laureata in Australia nel 1977, dal 1988 insegna nell’Università olandese di Utrecht
La filosofa Rosi Braidotti, 66 anni, friulana. Laureata in Australia nel 1977, dal 1988 insegna nell’Università olandese di Utrecht
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32 anni (nella pagina accanto). Il romanzo è candidato al Premio Strega
La copertina di L’acqua del lago non è mai dolce (Bompiani) di Giulia Caminito, romana, 32 anni (nella pagina accanto). Il romanzo è candidato al Premio Strega

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