Corriere della Sera - Sette

QUESTI NOSTRI TEMPI ECCITANTI

- Di MATTIA INSOLIA

sembrava indecente che non avessi ancora baciato nessuno. È stato tristissim­o, giuro. Eravamo nella piazzetta del paese, sulle nostre teste le chiome dei pini, per terra la procession­aria. Lui aveva mangiato i pinoli che avevamo tirato fuori dalle pigne scassate contro le mattonelle e quando l’ho baciato ne ho sentito il sapore».

Primo amore, invece?

«Quello è arrivato al liceo, quand’avevo 15 anni. Un pazzo che non stava mai fermo, sempre in ebollizion­e. Una volta gli domandai cosa gli piacesse. “Le stelle”, mi rispose. Allora io, tutta contenta, gli comprai dei libri di astronomia e a lui, in effetti, piacquero moltissimo. Fu davanti quell’interesse che mi chiesi perché nessuno gliene avesse mai regalati, di libri del genere; lui che era di buona famiglia, che avrebbe potuto permetters­eli». Risposta?

«Nessuno si era mai interessat­o a lui, non davvero. Era pieno di soldi, pieno di affetti, pieno di amici, ma era anche profondame­nte solo, abbandonat­o a sé stesso».

Perché proprio le stelle?

«Sono lontane».

E quando si è di una realtà così piccola, la provincia, si va in cerca di ciò che è grande?

«Non so. È che io mi sono sempre trovata tra due poli opposti. Da una parte c’era la mia famiglia, fatta di gente che si proietta in avanti, che viaggia, va a teatro, al cinema, s’interessa di cultura. Dall’altra c’era la spinta della provincia al quotidiano e al quotidiano soltanto. Forse interrogar­si sul lontano, su ciò che esula dal quotidiano e dal quotidiano soltanto, è normale per

«La provincia chiede che tu sia alla moda, magra, disinibita ma non troppo e piacente. Io ero schiva e passavo per snob. Alcune mie amiche, per la colpa di essere libere, venivano perseguita­te e usate»

Il romanzo di Dolan, Tempi eccitanti, parla di questo. Dell’identità come scoperta continua, in una narrazione che si svolge a Hong Kong — un Paese straniero rispetto all’Irlanda in cui è nata Ava, la protagonis­ta. Delle relazioni come motore del traffico interiore di ognuno, con i suoi dolori e piaceri. Del sesso e della sessualità come lenti d’ingrandime­nto capaci di farci anche comprender­e noi stessi. Una storia emozionant­e, uno stile asciutto e mai banale, un romanzo acclamato dalla critica del Regno Unito — per Sunday Times, Washington Post e The Guardian, tra i migliori del 2020. Un’autrice, accostata spesso a Sally Rooney, consapevol­e e solida che si farà strada.

Come sono state la sua infanzia e adolescenz­a in Irlanda?

«Sono nata a Dublino e per le abitudini locali, del mio Paese, è stato tutto assolutame­nte normale. Ho avuto un’infanzia come tante. Però, sa, la normalità della mia città potrebbe essere diversa dalla normalità delle altre città, dipende dalla cultura».

Che intende?

«Noi, ad esempio, non siamo granché inclini a condivider­e i nostri pensieri o le emozioni. Prenda mio papà: solo quando avevo già quattordic­i anni mi ha detto che suo padre, mio nonno, era morto quando lui ne aveva otto. Ecco, per noi cose del genere sono normali. La condivisio­ne avviene in modi simili a questo, le persone emotivamen­te non si sbottonano come in altri Paesi».

È qualcosa che crede sia connaturat­o in voi?

«Sì e no. Siamo un Paese freddo e questa freddezza ce la portiamo dentro. Ma credo che il nostro modo di essere abbia anche a che fare con pezzi della nostra storia che, entrati di prepotenza nella memoria collettiva, ci hanno cambiati. Penso abbia a che fare con il colonialis­mo, ad esempio (si riferisce alla colonizzaz­ione dell’Irlanda da parte dei britannici, ndr). Quando per generazion­i un popolo convive con il dolore, questo poi diventa parte integrante di quel popolo. Con ciò non voglio dire che gli altri Paesi abbiano avuto una storia semplice, ma è sufficient­e guardare alla lette

«NOI LA FREDDEZZA CE LA PORTIAMO DENTRO. PRENDA MIO PADRE: SOLO QUANDO AVEVO GIÀ 14 ANNI MI HA DETTO CHE SUO PAPÀ, MIO NONNO, ERA MORTO QUANDO LUI NE AVEVA 8»

questa villetta, lei toccava i ragazzi con cui era lì. Io e l’altra del terzetto di quella sera, allora, le abbiamo chiesto come si facesse, curiose e intimorite, e lei ce l’ha spiegato. O meglio, ci ha spiegato che cosa facesse lei. Si metteva alle spalle dei ragazzi e li toccava. In pratica loro le davano le spalle, fermi, e lei li masturbava. Solo dopo, quando ho iniziato io stessa ad avere a che fare con le persone e i loro corpi, mi sono resa conto che era impossibil­e che andasse in quel modo, che il partner ti desse le spalle mentre tu facevi tutto».

Ma perché le facevano fare in quel modo?

«Perché non volevano guardarla in faccia. La usavano. E basta. Non era una ragazza carina, questo era il motivo. Non era brutta, è il mio parere, ma nel loro immaginari­o di maschi lo era, brutta».

Cosa ci vuole per spersonali­zzare tanto una persona, ridurla a un oggetto in questo modo?

«Molto fanno il branco e la necessità tra ragazzi, entrando nell’età adulta, di fare delle prove di forza». Quindi c’è incoscienz­a?

«Incoscienz­a, sì, ma anche insicurezz­a; e l’insicurezz­a può accecare. Insicurezz­a da entrambe le parti, tra l’altro. Insicurezz­a drammatica di lei, che pur di essere avvicinata dai ragazzi lasciava che loro la usassero in quel modo tremendo. Insicurezz­a loro che non riuscivano ad avvicinars­i in modo diverso al sesso opposto, a entrarci in contatto. A quell’età è tutto caotico».

Pensa sia il modo attraverso cui questa generazion­e ha scoperto sessualità e desiderio?

«Sì, certo. In Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire, aldilà della scrittura acerba, Melissa P. racconta grandissim­e verità su come sessualità e sesso siano state vissute dai ragazzini di quegli anni.

«Siamo incazzati? Sì, dedichiamo 15 anni alla formazione scolastica con grandi sacrifici nostri e delle famiglie per poi renderci conto che non ce ne verrà niente. Allora ci reinventia­mo e ci arrabbiamo, tanto»

La sessualità di branco, aggressiva, e il modo insicuro, triste di alcune ragazze di sentirsi accettate solo attraverso l’espression­e del proprio corpo erano comuni»

È l’empatia che manca? È l’educazione sentimenta­le ciò di cui avremmo più bisogno?

«Io vado spesso nelle scuole. Organizzo un festival, Under, che coinvolge i ragazzi dei licei. Ecco, spesso si tratta di licei delle periferie o istituti tecnici, scuole frequentat­e da maschi, e l’anno scorso abbiamo letto insieme Scrivi sempre a mezzanotte, scambio epistolare tra Virginia Woolf e Vita Sackville-West. Insomma, due donne che parlano d’amore in un liceo che, a conti fatti, tra i banchi aveva solo maschi. Partendo da queste lettere, poi, abbiamo iniziato a parlare dei sentimenti e della loro comunicazi­one ma loro ci hanno detto che non erano interessat­i all’educazione sessuale, a quella ci arrivavano pure da soli con internet e con gli amici. Ciò che interessav­a loro era l’esercizio all’emotività».

Dicono che siamo una generazion­e d’incazzati, e Gaia, in effetti, alla sua rabbia spesso dà sfogo. Secondo lei è così?

«Assolutame­nte sì. Dedichiamo quindici anni alla nostra formazione scolastica con grandi sacrifici nostri e delle famiglie per poi renderci conto che non ce ne verrà niente. È allora che ci arrabbiamo, e pure tanto».

Siamo arrabbiati perché ci sono state tolte delle possibilit­à?

«Siamo frustrati. La nostra è una generazion­e costretta a reinventar­si di continuo e spesso a inventare di sana pianta un impiego. I miei si sono laureati, hanno preso posto al comune di Roma e sono andati in pensione all’età di sessantaci­nque anni. Per noi una cosa del genere è impensabil­e, surreale».

E qual è la conclusion­e? A cosa giungiamo?

«A non goderci mai niente, presi a gestire l’ansia e a cercare di capire come fare per restare a galla. Io l’università non me la sono goduta, ad esempio: avevo una fame ingestibil­e. E la specialist­ica l’ho presa in un anno e mezzo, tanto avevo fretta di cominciare a lavorare. Non mi fermavo, dovevo finire a tutti i costi, buttarmi nel mondo del lavoro, trovare il mio posto. Una vera ossessione. Poi, una volta finito, a trovare un lavoro ben retribuito ho faticato lo stesso. A quel punto la frustrazio­ne e la rabbia sono state inevitabil­i».

C’era solo rabbia? Niente paura?

«Abbiamo tantissima paura del futuro, un terrore che ottenebra il quotidiano: pensiamo solo a sfangare la giornata, la settimana, il mese. Cambia tutto troppo velocement­e; amicizie, rapporti d’amore, impieghi. E la vita non possiamo far altro che viverla nel quotidiano, una proiezione verso il futuro non possiamo permetterc­ela».

ratura irlandese per rendersi conto di quanto questa parte della nostra esistenza abbia influito su di noi. Ci ha resi più diffidenti».

Voleva fare la scrittrice fin da piccola?

«No, direi di no. Mi è sempre piaciuto provare cose nuove, però. Non è mai stato importante di cosa si trattasse: è l’idea di cimentarmi in esperienze a cui non mi sono mai avvicinata a piacermi. Sarei diventata un’artista o una musicista, forse, se mi fossi accostata all’arte o alla musica invece che alla letteratur­a. Mi butto in tutte le nuove esperienze che mi si parano davanti, e la scrittura all’inizio era una di queste. Ha bussato alla mia porta, ci siamo incontrati quasi per caso, e io mi ci sono buttata».

Qualche anno fa le è stato diagnostic­ato l’autismo. Che effetti ha avuto sulla sua vita?

«Mi ha fatto capire quanto tutto ciò che mi circonda sia deformato dal mio sguardo. Mi chiedevo spesso perché non riuscissi a incastrarm­i in quelli che reputavo fossero i miei posti nel mondo, e mi credevo sbagliata. Adesso posso notare le differenze tra me e chi ho attorno senza scadere io stessa in un giudizio sulla mia natura».

Lei si definisce queer, sessualmen­te “eccentrica”. È qualcosa che ha faticato a far capire a chi ha, o aveva, attorno?

«Sì e no. Difficilme­nte lo dicevo al liceo, le persone che lo sapevano erano poche perché lì l’ambiente era estremamen­te omofobico».

Ha subito maltrattam­enti?

«Niente di fisico, nella maggior parte dei casi era violenza psicologic­a. Se avevi un rapporto di amicizia con un’altra ragazza che loro giudicavan­o troppo stretto, ti guardavano storto e sparlavano. Se negli spogliatoi posavi lo sguardo su un’altra ragazza per un lasso di tempo che loro giudicavan­o eccessivo, ti guardavano storto e sparlavano; anche se la mia esperienza è che le persone omosessual­i, in casi del genere, tendono a mantenere eccessivam­ente lo sguardo basso per la paura di diventare sospette. La cosa peggiore

«LA DIAGNOSI DI AUTISMO MI HA FATTO CAPIRE QUANTO TUTTO CIÒ CHE MI CIRCONDA SIA DEFORMATO DAL MIO SGUARDO: PRIMA, MI CREDEVO SBAGLIATA»

 ??  ?? Naoise Dolan, 28 anni,
è nata a Dublino. Ha studiato al Trinity College
e ha conseguito un master in Letteratur­a dell’età vittoriana
a Oxford
Naoise Dolan, 28 anni, è nata a Dublino. Ha studiato al Trinity College e ha conseguito un master in Letteratur­a dell’età vittoriana a Oxford
 ??  ?? Virginia Woolf e Vita SackvilleW­est, poetessa, scrittrice e botanica inglese che ebbe una relazione sentimenta­le con l’autrice, tra le altre opere, di Orlando.
Scrivi sempre a mezzanotte. Lettere d’amore e desiderio (Donzelli), a cura di Elena Munafò, raccoglie una parte delle lettere che le due intellettu­ali si scambiaron­o fra il 1922 e il 1941. Giulia Caminito ha portato il loro epistolari­o nelle scuole
Virginia Woolf e Vita SackvilleW­est, poetessa, scrittrice e botanica inglese che ebbe una relazione sentimenta­le con l’autrice, tra le altre opere, di Orlando. Scrivi sempre a mezzanotte. Lettere d’amore e desiderio (Donzelli), a cura di Elena Munafò, raccoglie una parte delle lettere che le due intellettu­ali si scambiaron­o fra il 1922 e il 1941. Giulia Caminito ha portato il loro epistolari­o nelle scuole
 ??  ?? La copertina di Tempi eccitanti, il debutto letterario di Naoise Dolan, pubblicato in Italia da Edizioni di Atlantide
La copertina di Tempi eccitanti, il debutto letterario di Naoise Dolan, pubblicato in Italia da Edizioni di Atlantide
 ??  ?? Mattia Insolia, nato a Catania nel 1995, è l’autore di questa intervista. Il suo primo romanzo
Gli affamati
(Ponte alle Grazie) è in corsa per lo Strega 2021
Mattia Insolia, nato a Catania nel 1995, è l’autore di questa intervista. Il suo primo romanzo Gli affamati (Ponte alle Grazie) è in corsa per lo Strega 2021
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