MI CHIEDO: PERCHÉ QUEL GIORNO AVEVA PROVATO A UCCIDERSI? È QUELLO CHE LA DBT CERCA DI RICOSTRUIRE CON I PAZIENTI: LE CAUSE PROSSIMALI DEL DISASTRO
non aveva senso, il freddo sì. Infatti la DBT consiglia ai pazienti in preda a una tempesta emotiva di mettersi cubetti di ghiaccio sui polsi. Farlo in corso di conflitti coniugali in cucina ha salvato molti servizi di piatti.
Leggendo mi chiedo ossessivamente: perché era arrivata a questo? Non trovo risposta e non l’avrà mai nessuno: di quegli anni Marsha Linehan non ricorda niente, riconosce che forse dipende dai danni causati dai tuffi dal letto. Lei stessa si è chiesta: perché stavo così male? Neanche i suoi collaboratori più stretti hanno saputo capirlo. Aveva una storia familiare di depressione, quindi c’era una radice biologica, ma perché di un tipo carico di odio di sé che la portava a un’impulsività fuori controllo? Certo, veniva da una famiglia rigida, borghese, dalle aspettative alte e lei non corrispondeva agli standard: era sovrappeso, ribelle e linguacciuta, il contrario dell’ideale di brava ragazza del Sud al quale doveva corrispondere. Certo, la famiglia non ha mai sostenuto le sue scelte, la critica era facile e l’elogio sconosciuto. Tutto questo ha generato il suo sentirsi sbagliata, grassa e brutta. Ma ci vuole fantasia a immaginare un rapporto di causaeffetto tra un ambiente come questo e lacune della memoria lunghe anni — anche antecedenti ai possibili danni da traumi cerebrali — un buio tentacolare dentro, gesti fuori controllo e abuso di alcool.
Marsha Linehan, finito il lungo ricovero, giura a sé stessa che non sarebbe più andata all’inferno. Poco dopo tenta il suicidio. Due volte: un mix di pillole e alcool. Il risveglio è così spiacevole che capisce che è meglio non riprovarci. Mi chiedo ancora: perché quel giorno e a quell’ora aveva provato a uccidersi? È quello che la DBT cerca di ricostruire coi pazienti: le cause prossimali del disastro. Cosa le passava per la mente un attimo prima di farsi danno? Anche qui, niente memorie né spiegazione.
Allo stesso modo, è difficile capire cosa l’abbia portata fuori dal baratro. Nessuno dei motivi che ora elenco è una causa sufficiente. Ha ricevuto affetto e supporto e se ne è nutrita. Si è aggrappata alla fede, si è ispirata a madre Teresa e santa Teresa di Lisieux. Era volitiva e tenace e aveva una missione, salvare quelli come lei, una storia di riscatto americano. Anche senza una spiegazione plausibile, il fatto è che una miscela di spirito critico implacabile, logica spietata e sofferenza forgia uno dei tasselli della rivoluzione in corso nella psicoterapia moderna. La giovane Linehan legge e ama Freud. Va in psicoanalisi e ne trae qualche beneficio, ma non ne esce davvero curata. Poi si pone la domanda che ogni mente raziocinante dovrebbe porsi: che prove abbiamo che la psicoanalisi funziona? La risposta
studiano il cervello. Hanno mostrato che la nostra attività cosciente è determinata da una serie di reazioni elettro-chimiche che avvengono all’interno del nostro cervello. Osservando l’attività cerebrale si può così stabilire se uno sia sveglio o addormentato; verificando che in una certa parte del mio cervello si è scatenata una tempesta elettrica, gli scienziati sanno che sono arrabbiato; e possono indurre sensazioni piacevoli stimolando i neuroni giusti. Semplificando, noi siamo il risultato dell’interazione di una rete di neuroni che interagiscono tra di loro. In fondo, è come pensare a un insieme di macchine che incrociandosi e muovendosi tutte insieme producono un ingorgo; o a un insieme di gocce d’acqua, che dà origine a una nuvola carica di pioggia. Ma come l’interazione elettrochimica all’interno del nostro cervello produca i nostri stati coscienti; come un certo movimento di neuroni dia vita a un’esperienza soggettiva