Corriere della Sera - Sette

«Per molti è

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La figlia Salomè: strano associare mio padre al sentimento di un amore mai nato, ma il messaggio di questa sua poesia giovanile per me è un invito a non rimuginare sulle cose, a vivere il presente»

una poesia scritta già pensandosi a Roma, ma poi nel novembre dello stesso anno lo ritroviamo sulla costa salentina. Con il corpo o con la mente: «Nel cielo che si svena / di lampi, quando turano / i gemiti del madre / il temporale inventa / voci atterrite / dove il vento si lacera gridando». E chiude con malinconia: «Piove su vita e morte, perché uno / è l’amore».

Già, l’amore. «Per molti sarà strano associare mio padre a questo sentimento di amore, in senso ampio», ci racconta con voce solare Salomè, nata dal rapporto, burrascoso, tra Bene e Raffaella Baracchi (Miss Italia 1983 e attrice). Laureata in legge, Salomè sogna di fare il magistrato e anima il Fondo dedicato a Carmelo Bene che avrà presto un museo a Lecce. Ci indica la poesia che più ama di suo padre, E tornare: «E tornare a divenuta postuma, come premessa per altro: «Metto fine / alla più breve delle prefazioni. / Addio!».

I punti esclamativ­i. Non si può non notarli. Sono testimonia­nza dell’urgenza di una voce che spinge, canto che sale dal pozzo, seme che si fa strada, nocciolo di pesca da far fiorire. Qualche verso prima Bene descriveva così la sua bocca, labbra gonfie di baci non dati, sotto occhi non ancora spiritati ma già magnetici nella loro malinconia. «La mia bocca / è larga di riso / e la mia gola / profonda di canto».

«Voce» e «sogno» sono le parole chiave della raccolta. Dove non c’è la voce viva di Bene, che ha incantato e inquietato chiunque l’ha ascoltata. Ma c’è il suo seme poetico, il sogno di quella voce interiore di cui questi versi sono reliquia preziosa, come la lingua di un santo.

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