Corriere della Sera - Sette

MARIO SOLDATI E LA POLENTA GRATINATA AL POMODORO

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Se c’è un piatto che è simbolo di semplicità, e anche, un tempo, di povertà, è la polenta. Pietanza antichissi­ma, di origine italiana. Ha costituito in passato l’alimento principale di cui si nutrivano i poveri nelle varie zone settentrio­nali. Dalla Lombardia alla Emilia Romagna, dal Trentino al Piemonte. Ma esisteva anche in Toscana e nelle zone di montagna di Umbria, Marche, Abruzzo e Molise.

Il cereale che viene più usato è il mais, che le dà quel colore giallo così caratteris­tico. Mentre in passato, a quanto sembra, era decisament­e più scura perché la si faceva soprattutt­o con farro o segale, e poi persino con grano saraceno (che veniva importato dall’Asia).

Viene realizzata cuocendo un impasto semiliquid­o fatto di farina e acqua e si accompagna molto bene al burro, ai formaggi molli e ai piatti con tanto sugo, come gli spezzatini.

Quella che vi propongo oggi è una ricetta classica che solitament­e si fa addirittur­a con gli avanzi della polenta. La base può poi essere arricchita con il latte oltre che con l’acqua. Ma in questo caso ha prevalso la voglia di realizzare qualcosa di più leggero.

Se poi avete voglia di approfondi­re il fascino di questa pietanza, andatevi a ripescare qualche puntata del Viaggio nella valle del Po di Mario Soldati. In particolar­e l’episodio su Ponti, un paesino della Val Bormida di Spigno. Il cibo raccontato, in occasione della Festa del Polentone, era proprio la polenta, che alcuni anni dopo lo stesso Soldati celebrerà in uno dei suoi Racconti del maresciall­o. Buona cucina!

libro autobiogra­fico, Con la forza del respiro, e che dopo quell’avventura “a secco” ha preso una dimensione “acquatica”. In verticale e non in orizzontal­e. «Disputavo gare», ricorda Umberto, «ma in orizzontal­e non ero granché. Avevo cominciato perché temevo l’acqua: fu mia madre a spedirmi in piscina. Al nuoto orizzontal­e spesso arrivi perché qualcuno lo stabilisce per te. A quello verticale, invece, approdi perché vuoi metterti alla prova».

Pelizzari ne ha superate di ogni, oltretutto a suon di primati. Quello del 1999 – meno 150 metri in assetto variabile “no limits”, raggiunti in in 2’57’’, dunque poco meno di quei 3 minuti a scuola – è tuttora la frontiera umana negli abissi.

I limiti e le radici

Ma è sbagliato ridurre questo cinquantac­inquenne, nativo di Busto Arsizio, Varese, e da tempo residente a Parma, a un rettificat­ore di numeri da Guinness. Confinarlo in questa dimensione farebbe perdere altri aspetti intriganti della sua missione, come il legame con il mare e la capacità, scendendo in apnea, di imboccare un tunnel diretto all’anima. La frase decisiva è «l’impossibil­e è un’opinione» e diventa la chiave per aprire una porta sorprenden­te: «Spesso il mondo costruisce attorno a noi limiti che soffocano sogni e idee. Ma è proprio davanti a queste realtà che non dobbiamo chinare il capo: bisogna diventare “ribelli”, è la fede in noi stessi che spiana il cammino spazzando via ostacoli che parevano insormonta­bili. A volte è sbalorditi­va la rapidità con cui cambia la marea: per capire quale direzione prendere, dovete conoscere non solo le vostre radici, ma anche le vostre potenziali­tà».

La profondità infinita

Che cosa può regalarci l’apnea? Tanto, forse tutto se si ha la costanza di praticarla. Umberto dopo il ritiro dall’agonismo si dedica alla divulgazio­ne, alla Tv («Ma non mi sento giornalist­a!») e all’insegnamen­to. «Provo a spiegare che negli abissi ho cercato il mio io. È un’esperienza mistica, ai confini col divino».

Non è detto che sia necessario valicare questa barriera, basta sfiorarla: «Quanto è profondo il mio mare? Ancora non l’ho capito. Ignoro che cosa mi spinga laggiù, ma nemmeno mi interessa saperlo. Ogni volta che scendo incontro cose uniche, il mondo dentro di me e attorno a me è diverso: non ho luce, il cuore marcia piano, un battito ogni sette-otto secondi, otto-nove pulsazioni al minuto. Quando risalgo, realizzo che sto tornando quello di prima, l’uomo di sempre. Sono anfibio? No, sono solo un terrestre che scopre un’altra dimensione».

Con la forza del respiro

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