Corriere della Sera - Sette

Rileggere Arbasino È come tornare (un po’) a teatro

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SONO STATO A TEATRO (mi mancava). Davano Macbeth. Le streghe sembravano tre «Giuliette Masine in parrucca di rafia» e affumicava­no il teatro con le loro pozioni, «un odore di zampironi da morire». Scorreva molto sangue e gli assassini, con «facce tormentate da El Greco», vomitavano copiosamen­te dopo aver commesso i loro delitti. Un Macbeth da Grand Guignol. C’erano anche scene più dolci di interni familiari da pittura olandese: «I bambini Macduff coi loro sgabellini e giocattoli­ni, belli, graziosi, simpatici, presentati con una tenerezza esagerata anche per un coperchio di scatola di cioccolati­ni». Ma i bambini Macduff venivano trucidati lo stesso. E Macbeth e la first lady com’erano? Lui una specie di «businessma­n che arriva a casa stanco, e trova la mogliettin­a tutto-zenzero che lo rimprovera perché in ufficio non sa farsi valere coi colleghi».

ERA L’ESTATE DEL 1959 e da Boston Alberto Arbasino raccontava il Macbeth, regia di José Quintero, protagonis­ta Jason Robards jr, allora 37enne, che poi avrebbe vinto l’Oscar interpreta­ndo il miglior Dashiell Hammett della nostra vita (il film era Giulia di Fred Zinnemann). Ma Arbasino stroncò il povero Jason: «Ha sguardi docili e acquosi da buon cagnone da pastore». Macbeth ha occhi da pit bull.

I teatri sono chiusi, riapriteli leggendo le recensioni di Grazie per le magnifiche rose (Adelphi), questa settimana al primo posto nella mia personale hit parade. I pezzi di Arbasino erano più belli (e teatrali) delle opere esaminate (succede a certe recensioni).

FRANCESCO MARIA EVANGELIST­I: «La leggo da troppi dei miei quasi 39 anni e non ho mai avuto l’ardire di scriverle, un po’ perché, come scrive la lettrice Micol, si ha paura di intromette­rsi tra conversazi­oni già aperte tra vecchi amici. Ma mia moglie, che è spagnola, mi ha regalato, in una traduzione in castiglian­o, L’amante dell’Orsa Maggiore di Sergiusz Piasecki, avventuros­issimo autore assente tra i cataloghi italiani. Le chiedo perché, assieme a lui, non si stampano più in Italia alcuni libri di Vladimir Voinovic e di Tom Sharpe. Di questi tempi non sarebbe il caso di recuperare la letteratur­a “della depression­e” oltre Furore, la letteratur­a della distopia oltre l’ormai sbranato 1984? Di ritornare a quel patrimonio satirico lasciatoci in dote da alcune tragedie dello scorso secolo e che potrebbe aiutarci nell’affrontare quel che verrà? Quando sarà possibile mi piacerebbe averla per un low and slow, anche se il sogno rimane un banchetto tra tutti i lettori di questa rubrica con le pietanze, le bevande e gli alcolici citati nel Buon soldato Sc’vèjk».

A PROPOSITO DI CUCINA a cottura lenta e di un asado a cui avevo fatto cenno qualche Joker fa, Andrea Cervietti scrive: «Non resisto. Che ci ha bevuto con l’asado? Un Vega Sicilia? Lento e lungo come quella carne. Un Malbec? Per restare in zona. Oppure un Gallo Nero o un Montefalco, che raramente deludono?».

Caro Andrea, e un Supertusca­n no? Un Dante Alighieri dei vini. Caro Evangelist­i, certi libri non si pubblicano più perché nessuno li compra. È la stampa, bellezza.

LE SALE SONO CHIUSE, "RIAPRIAMOL­E" CON QUELLE RECENSIONI SPESSO PIÙ BELLE DELLE OPERE ESAMINATE

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