«DICONO CHE SEI STATA CATTIVA:
mesi di reclusione per aver violato i termini di una condanna per frode che la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva definito nel 2014 «arbitraria e irragionevole», e lo attendono altri processi. Per alcuni è un eroico combattente per la giustizia, per altri un personaggio controverso con un passato esitante tra accenti liberali e nazionalistici e un risibile patrimonio di consensi (il numero che ricorre è il 2%) nel caso in cui partecipasse alle elezioni.
Intanto cosa sappiamo di lui? Nasce nel 1976 a Butyn, non lontano da Mosca. Navalny è un cognome ucraino, il papà Anatoly è un militare di Zalesye, nella regione di Chernobyl. La mamma Lyudmila, russa, come le più solerti e meticolose donne russe fa di tutto per sostenere la famiglia: domenica 23 gennaio c’è anche lei in piazza per chiedere la liberazione del figlio Aleksej mentre arrestavano l’altro, Oleg, che già ha scontato tre anni di carcere per la medesima accusa del 2014 per cui i due fratelli, secondo la Corte europea, avrebbero dovuto ricevere un risarcimento di 80 mila euro.
L’Avvelenatore di mutande
Aleksej cresce in varie basi militari attorno a Mosca, poi lavora nella fabbrica di legname avviata dai genitori, si laurea in Giurisprudenza con lode, da autodididatta impara l’inglese e il public speaking, grazie a una borsa di studio trascorre sei mesi a Yale, diventa avvocato. Alla ricerca di sé stesso, si dedica a varie attività deludenti, poi nel 2008 acquista poche azioni di alcune società russe, che ai tempi di Boris Eltsin erano finite nelle mani degli oligarchi nell’orbita del Cremlino, per poter leggerne i bilanci e presentarsi alle assemblee. Ed è subito illuminazione. La lotta alla corruzione diventa una vocazione. Le gestioni presentano delle incongruenze. I soldi veri fluiscono nelle tasche sbagliate. Alle accuse seguono le prove. Tutto rilanciato sul blog. È da subito bandito dalle televisioni di Stato, la rete è l’unico sfogo. Navalny Live diventa uno show seguito da sei milioni di persone dove gli spiriti più liberi – e con una visione del futuro castrata da un potere accentrato e discutibile – hanno modo di seguire il blogger che, con la passione di un principe del foro e la verve di un primo attore, dipinge con precisione allarmante il buco nero in cui sono finite tutte le speranze che nutriva il Paese più grande del mondo, dopo gli anni dell’Urss e l’incetta delle risorse autorizzata dall’alto degli Anni 90. Le prospettive di una gestione oculata delle grandi ricchezze della Russia, la creazione di infrastrutture e di industrie degne di uno Stato moderno rimangono entro i confini del miraggio.
«Da noi venti milioni di cittadini vivono sotto la soglia di povertà. Decine di milioni non hanno alcuna prospettiva per il futuro. La vita è sopportabile a Mosca ma, Vostro onore, proseguite cento chilometri in qualsiasi direzione dalla Capitale e vi accorgerete che ovunque è il caos… Tutto questo perché un piccolo uomo nel suo bunker sta perdendo la testa perché abbiamo dimostrato che, invece di concentrarsi sulle questioni geopolitiche, è impegnato in riunioni per decidere come rubare le mutande dei politici e spalmarle di armi chimiche per provocarne la morte… Noi ricordiamo Alessandro il Liberatore, Jaroslav