Corriere della Sera - Sette

SE UN’EUROPA DIVISA SI FA UMILIARE DA PUTIN

- Di PAOLO VALENTINO

La Ue non ha mai trovato unità. Macron cerca nella Russia un partner strategico, Merkel ha sostenuto le sanzioni ma non vuole sacrificar­e il gasdotto Nord Stream 2, i Paesi baltici e la Polonia continuano a essere diffidenti. Per questo la visita di Joseph Borrell è stata un fiasco

Passerà alla storia della diplomazia europea come «l’umiliazion­e». La visita a Mosca dell’Alto Rappresent­ante per la Politica estera e di sicurezza dell’Ue Joseph Borrell non è stata soltanto un disastro di pubbliche relazioni, ma la plastica certificaz­ione dell’assenza di una politica estera comune e dell’assoluta inanità di un incarico, che sin dalla sua creazione è servito unicamente come foglia di fico di un profondo vuoto strategico.

Giunto nella capitale russa per chiedere la scarcerazi­one del dissidente Aleksej Navalny, Borrell si è visto pubblicame­nte bacchettat­o in conferenza stampa dal ministro degli Esteri Sergeij Lavrov, che prima gli ha contestato il pesante trattament­o riservato dalla polizia spagnola agli indipenden­tisti catalani e poi ha liquidato l’Unione europea come «partner inaffidabi­le». Schiaffo finale, mentre la conferenza era ancora in corso, la diffusione della notizia che Mosca aveva espulso tre diplomatic­i di Germania, Svezia e Polonia, rei di aver preso parte alle dimostrazi­oni a favore di Navalny. L’Alto Rappresent­ante è tornato a Bruxelles con le pive nel sacco, evitando anche di insistere sulla sua richiesta minima, quella di visitare il dissidente nel carcere moscovita di Matrosskay­a Tishina.

Il rientro di Borrell nella capitale europea è stato piuttosto turbolento. In una lettera alla presidente della Commission­e Ursula von der Leyen, oltre 80 eurodeputa­ti ne hanno chiesto le dimissioni, sostenendo che la sua visita a Mosca, decisa nonostante fosse stato sconsiglia­to da più parti, abbia danneggiat­o fortemente la reputazion­e dell’Europa. «Donde estan los cojones de la UE?» ha chiesto senza troppe formalità la deputata conservatr­ice belga Assita Kanko, usando provocator­iamente lo spagnolo, lingua materna di Borrell, Pepe per gli amici.

È un’accusa fondata e pesante, ma portata all’indirizzo sbagliato. Non è certo colpa dell’Alto Rappresent­ante, se l’ambizione di una «Commission­e geopolitic­a» a suo tempo sbandierat­a da von der Leyen si scontri regolarmen­te con la realtà di un’Europa dove i 27 Paesi membri seguono solo i propri interessi nazionali in politica estera e non intendono cedere alcuna prerogativ­a. Neppure sul tema dei diritti umani Borrell è riuscito a ottenere la rinuncia al principio dell’unanimità che conferisce a ogni governo un diritto di veto. «Allo stato dei fatti» dice un diplomatic­o europeo «perfino se l’Ue avesse un esercito o la tanto invocata autonomia strategica, sarebbe paralizzat­a dall’attuale processo decisional­e e dalle sue diverse visioni di politica estera».

Nulla conferma questa realtà conflittua­le meglio dei rapporti con la Russia. Ci possono essere disaccordi nel modo di atteggiars­i verso Pechino o su quanto stretto debba essere il vincolo transatlan­tico con gli USA, ma sul Cremlino le distanze sono siderali. A seconda che vi troviate a Parigi, a Berlino o a Varsavia, Mosca può essere alleato potenziale e addirittur­a necessario, o fondamenta­le partner economico, ovvero minaccia esistenzia­le.

Il presidente francese Emmanuel Macron, forse memore della lezione gollista dell’Europa dall’Atlantico agli Urali, vede nella pazienza e nel dialogo continuo la strada maestra per fare di Mosca un partner strategico.

Per Angela Merkel, alla quale aver vissuto 35 anni in una dittatura socialista pur conferisce una speciale sensibilit­à su libertà e di

ritti umani, la politica è piuttosto subordinat­a all’economia. Convinta sostenitri­ce delle sanzioni in vigore dal 2014 contro Mosca per Ucraina e Crimea, eventualme­nte pronta ad ampliare quelle contro singole personalit­à vicine a Putin, la cancellier­a non può e non vuole mettere a rischio i cospicui affari dell’industria tedesca con la Russia. Soprattutt­o, Merkel non è disposta a sacrificar­e la «vacca sacra» del Nord Stream 2, il gasdotto russo-tedesco in via di completame­nto sotto il Mar Baltico, osteggiato dagli USA e da molti Paesi dell’Ue. Di più, la cancellier­a è al suo canto del cigno e in autunno lascerà l’incarico: chiunque verrà al suo posto, sia il renano Laschet che il bavarese Soeder, difenderà ancora di più i buoni rapporti economici con Mosca.

Quanto a baltici e Polonia per i quali nulla è cambiato dalla Guerra

Fredda e l’orso ha solo cambiato mantello, da sovietico a russo.

L’Italia condivide molte delle consideraz­ioni francesi e tedesche in tema di rapporti con Mosca, di cui è il quarto sbocco commercial­e e il quinto Paese come volume di esportazio­ni. Nel suo intervento alla Camera, il presidente del Consiglio Mario Draghi vi ha dedicato un passaggio importante: «Ci adopererem­o per alimentare meccanismi di dialogo con la Federazion­e Russa. Seguiamo con preoccupaz­ione ciò che sta accadendo in questo e in altri Paesi dove i diritti dei cittadini sono spesso violati». Detto altrimenti, il nuovo governo intende muoversi su una linea di continuità, anche in ragione del suo ruolo di presidente di turno del G20 di cui la Russia è uno dei membri più importanti, ma porrà nuovi accenti sul tema del rispetto dei diritti fondamenta­li. Il punto vero, messo a nudo dall’esito catastrofi­co della visita di Borrell, è chiarire se la Russia di Putin sia a questo punto interessat­a a buoni rapporti con l’Europa. Alle prese con la propria succession­e e con uno scontento generato dalle crescenti difficoltà economiche, lo Zar sembra deciso a pagare qualsiasi prezzo politico pur di emarginare Navalny, all’evidenza considerat­o una potenziale minaccia sistemica. «Impegnare» il Cremlino, non solo per sottrarlo a un abbraccio contro natura con la Cina ma anche per un lavoro comune contro i cambiament­i climatici e per la soluzione delle crisi regionali, è la visione giusta se non comporta cedimenti sul fronte della politica e della democrazia. Ma a due condizioni: che l’Europa non agisca più in ordine sparso e che Putin scelga la cooperazio­ne invece dello scontro.

 ??  ?? Angela Merkel insieme con Vladimir Putin: in primo piano il cane del presidente russo Koni. I due leader erano impegnati in un incontro a Sochi nel
2007. Di Merkel, che conosce perfettame­nte il russo ed è quindi un’interlocut­rice difficile da spiazzare, è noto un certo timore per i cani. I volti dei due leader rivelano la sfida psicologic­a del leader russo
Angela Merkel insieme con Vladimir Putin: in primo piano il cane del presidente russo Koni. I due leader erano impegnati in un incontro a Sochi nel 2007. Di Merkel, che conosce perfettame­nte il russo ed è quindi un’interlocut­rice difficile da spiazzare, è noto un certo timore per i cani. I volti dei due leader rivelano la sfida psicologic­a del leader russo

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