SE UN’EUROPA DIVISA SI FA UMILIARE DA PUTIN
La Ue non ha mai trovato unità. Macron cerca nella Russia un partner strategico, Merkel ha sostenuto le sanzioni ma non vuole sacrificare il gasdotto Nord Stream 2, i Paesi baltici e la Polonia continuano a essere diffidenti. Per questo la visita di Joseph Borrell è stata un fiasco
Passerà alla storia della diplomazia europea come «l’umiliazione». La visita a Mosca dell’Alto Rappresentante per la Politica estera e di sicurezza dell’Ue Joseph Borrell non è stata soltanto un disastro di pubbliche relazioni, ma la plastica certificazione dell’assenza di una politica estera comune e dell’assoluta inanità di un incarico, che sin dalla sua creazione è servito unicamente come foglia di fico di un profondo vuoto strategico.
Giunto nella capitale russa per chiedere la scarcerazione del dissidente Aleksej Navalny, Borrell si è visto pubblicamente bacchettato in conferenza stampa dal ministro degli Esteri Sergeij Lavrov, che prima gli ha contestato il pesante trattamento riservato dalla polizia spagnola agli indipendentisti catalani e poi ha liquidato l’Unione europea come «partner inaffidabile». Schiaffo finale, mentre la conferenza era ancora in corso, la diffusione della notizia che Mosca aveva espulso tre diplomatici di Germania, Svezia e Polonia, rei di aver preso parte alle dimostrazioni a favore di Navalny. L’Alto Rappresentante è tornato a Bruxelles con le pive nel sacco, evitando anche di insistere sulla sua richiesta minima, quella di visitare il dissidente nel carcere moscovita di Matrosskaya Tishina.
Il rientro di Borrell nella capitale europea è stato piuttosto turbolento. In una lettera alla presidente della Commissione Ursula von der Leyen, oltre 80 eurodeputati ne hanno chiesto le dimissioni, sostenendo che la sua visita a Mosca, decisa nonostante fosse stato sconsigliato da più parti, abbia danneggiato fortemente la reputazione dell’Europa. «Donde estan los cojones de la UE?» ha chiesto senza troppe formalità la deputata conservatrice belga Assita Kanko, usando provocatoriamente lo spagnolo, lingua materna di Borrell, Pepe per gli amici.
È un’accusa fondata e pesante, ma portata all’indirizzo sbagliato. Non è certo colpa dell’Alto Rappresentante, se l’ambizione di una «Commissione geopolitica» a suo tempo sbandierata da von der Leyen si scontri regolarmente con la realtà di un’Europa dove i 27 Paesi membri seguono solo i propri interessi nazionali in politica estera e non intendono cedere alcuna prerogativa. Neppure sul tema dei diritti umani Borrell è riuscito a ottenere la rinuncia al principio dell’unanimità che conferisce a ogni governo un diritto di veto. «Allo stato dei fatti» dice un diplomatico europeo «perfino se l’Ue avesse un esercito o la tanto invocata autonomia strategica, sarebbe paralizzata dall’attuale processo decisionale e dalle sue diverse visioni di politica estera».
Nulla conferma questa realtà conflittuale meglio dei rapporti con la Russia. Ci possono essere disaccordi nel modo di atteggiarsi verso Pechino o su quanto stretto debba essere il vincolo transatlantico con gli USA, ma sul Cremlino le distanze sono siderali. A seconda che vi troviate a Parigi, a Berlino o a Varsavia, Mosca può essere alleato potenziale e addirittura necessario, o fondamentale partner economico, ovvero minaccia esistenziale.
Il presidente francese Emmanuel Macron, forse memore della lezione gollista dell’Europa dall’Atlantico agli Urali, vede nella pazienza e nel dialogo continuo la strada maestra per fare di Mosca un partner strategico.
Per Angela Merkel, alla quale aver vissuto 35 anni in una dittatura socialista pur conferisce una speciale sensibilità su libertà e di
ritti umani, la politica è piuttosto subordinata all’economia. Convinta sostenitrice delle sanzioni in vigore dal 2014 contro Mosca per Ucraina e Crimea, eventualmente pronta ad ampliare quelle contro singole personalità vicine a Putin, la cancelliera non può e non vuole mettere a rischio i cospicui affari dell’industria tedesca con la Russia. Soprattutto, Merkel non è disposta a sacrificare la «vacca sacra» del Nord Stream 2, il gasdotto russo-tedesco in via di completamento sotto il Mar Baltico, osteggiato dagli USA e da molti Paesi dell’Ue. Di più, la cancelliera è al suo canto del cigno e in autunno lascerà l’incarico: chiunque verrà al suo posto, sia il renano Laschet che il bavarese Soeder, difenderà ancora di più i buoni rapporti economici con Mosca.
Quanto a baltici e Polonia per i quali nulla è cambiato dalla Guerra
Fredda e l’orso ha solo cambiato mantello, da sovietico a russo.
L’Italia condivide molte delle considerazioni francesi e tedesche in tema di rapporti con Mosca, di cui è il quarto sbocco commerciale e il quinto Paese come volume di esportazioni. Nel suo intervento alla Camera, il presidente del Consiglio Mario Draghi vi ha dedicato un passaggio importante: «Ci adopereremo per alimentare meccanismi di dialogo con la Federazione Russa. Seguiamo con preoccupazione ciò che sta accadendo in questo e in altri Paesi dove i diritti dei cittadini sono spesso violati». Detto altrimenti, il nuovo governo intende muoversi su una linea di continuità, anche in ragione del suo ruolo di presidente di turno del G20 di cui la Russia è uno dei membri più importanti, ma porrà nuovi accenti sul tema del rispetto dei diritti fondamentali. Il punto vero, messo a nudo dall’esito catastrofico della visita di Borrell, è chiarire se la Russia di Putin sia a questo punto interessata a buoni rapporti con l’Europa. Alle prese con la propria successione e con uno scontento generato dalle crescenti difficoltà economiche, lo Zar sembra deciso a pagare qualsiasi prezzo politico pur di emarginare Navalny, all’evidenza considerato una potenziale minaccia sistemica. «Impegnare» il Cremlino, non solo per sottrarlo a un abbraccio contro natura con la Cina ma anche per un lavoro comune contro i cambiamenti climatici e per la soluzione delle crisi regionali, è la visione giusta se non comporta cedimenti sul fronte della politica e della democrazia. Ma a due condizioni: che l’Europa non agisca più in ordine sparso e che Putin scelga la cooperazione invece dello scontro.