Meriti (e crucci) degli expat
«In fondo Mario Draghi è stato a lungo un espatriato, uno di noi potremmo dire. Per cui aiutarlo disinteressatamente nella ricostruzione del Paese, nel dopo pandemia, dovrebbe venire naturale».
Fabrizio Pagani, economista basato a Parigi dove lavora per un fondo di investimento americano, presiede Minima & Moralia, un’associazione di tecnici ed esperti di politiche pubbliche di cui una buona parte lavora da anni all’estero. Nei più svariati Paesi, nella finanza, nei centri di ricerca, nelle imprese, nelle università. Sono gli espatriati o expat, un segmento di classe dirigente che ha studiato in Italia ma che oggi non contribuisce al nostro Pil e al nostro progresso civile perché in qualche modo è stata “delocalizzata”, spesso suo malgrado. Manager e ricercatori che si sono allontanati dall’Italia perché non hanno trovato quello spazio che invece nel 90 per cento dei casi hanno rintracciato, con una certa facilità, all’estero. Perché il merito, dicono tutti loro, mastica poco l’italiano.
Cervelli in fuga, molte donne, un rapporto psicologico con la madrepatria che definire complesso è un eufemismo. «Sono tutte energie e competenze», sostiene Pagani, «di cui il Paese avrebbe bisogno. In termini di contributo di idee innovative, di networking internazionale, di miglioramento della nostra immagine all’estero. La mia è quasi una chiamata e del resto Minima & Moralia è impegnata in questa direzione: cercare soluzioni per le politiche pubbliche pescando, quando possibile, dalle best practise internazionali». E comunque nell’associazione di Pagani non mancano casi di expat tornati a ricoprire ruoli importanti in Italia ma oltre alla dimensione squisitamente professionale, alle convenienza di carriera, agli incentivi fiscali che possono essere messi in campo dai governi, conta molto la dimensione psicologica, la frattura.
«Tanti espatriati vivono con frustrazione il loro rapporto con l’Italia, non le perdonano ciò che magari condonano generosamente al Paese o alla città che li ospita, sono i primi, e spesso i più feroci, nel sottolineare i peccati e gli errori della vita pubblica (e privata) italiana. È un sentimento profondo che riflette le ferite che in molti casi hanno dovuto subire ma è anche un sentimento ingenuo. Da figli delusi. Insomma deve cambiare l’Italia ma devono anche maturare gli italiani all’estero».