Corriere della Sera - Sette

Il buco della serratura: vedi bene, non capisci

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L’altro giorno camminavo sull’Aventino, a Roma; via di Santa Sabina, precisamen­te (più o meno il percorso che fa Jep Gambardell­a nella prima passeggiat­a de La Grande Bellezza). Mi ferma un turista e mi chiede dove si trova un bel panorama. Io gli indico il varco davanti al quale stiamo passando. Dentro c’è il Giardino degli aranci, e in fondo, ben visibile, una magnifica terrazza

con vista a 180 gradi sull’Urbe, con al centro il Cupolone. Ma lui dà uno sguardo distratto e dice: no, non è questo. Capisco che deve trattarsi di un posto che gli è stato segnalato, e allora penso si riferisca alla celebre vista che si trova poche centinaia di metri più avanti: quella che si schiude dal buco della serratura del Gran Priorato dell’Ordine dei Cavalieri di Malta. Un edificio superbo, sempre chiuso, che si lascia però per così dire penetrare dallo sguardo dei passanti grazie a quel pertugio, aperto su un giardino e perfettame­nte in asse con la Cupola di Michelange­lo. Un effetto grandangol­o di grande suggestion­e, devo ammetterlo.

Così gli dico di proseguire e gli indico il posto. E mi domando perché mai sia così diffuso tra gli esseri umani il gusto di vedere le cose dal buco della serratura, anche quando ce le hanno ben visibili davanti ai loro occhi. Deve avere qualcosa a che fare con il fascino del proibito, col mistero che si svela solo a pochi eletti, deve dare il brivido della scoperta, del lato oscuro che si rivela a chi lo sa cercare. Lo stesso panorama, qui ben visibile in tutta la sua circolarit­à, lì ristretto a un solo oggetto come nella camera oscura di un pittore fiammingo, produce apprezzame­nti molto diversi.

Forse è per questo che il giornalism­o televisivo, anch’esso fatto di immagini, pare spesso prediliger­e il buco della serratura al panorama. Nel guardare le cose dall’alto e da lontano si possono certo apprezzare meglio distanze, dimensioni, proporzion­i di un paesaggio. Farsi un’idea più definita e chiara del contesto. Comprender­e di più le relazioni tra le cose. Ma la suggestion­e del buco della serratura, la sua spettacola­rità, è decisament­e maggiore: l’oggetto della nostra curiosità, in questo caso la Cupola, è isolato e gigantesco, emerge dal nulla, ed è così vicino che sembra di toccarlo, come se si stesse mostrando solo a noi che guardiamo.

È per questo, penso, che ogni inviato dei programmi di intratteni­mento pomeridian­o della Rai, in ogni paese di questa nostra emergenza epidemica, può immaginare, e talvolta anche dire, di trovarsi nella “nuova Codogno”. È per questo che indugia con la telecamera su una macchia dell’asfalto corrispond­ente al posto dove è stato accoltella­to, ormai giorni fa, un povero giovane. Oppure inquadra avido il citofono di una persona che ha di recente avuto una disgrazia. Vuole dirci che grazie a lui vediamo di più. Non fa niente se capiamo di meno.

Tornando sui miei passi, ritrovo il turista davanti al buco. Protesta. Dice che le foto vengono sfocate col telefonino. È vero. Mi era dimenticat­o di dirgli che si tratta di una pura esperienza dei sensi, per motivi di luce non riproducib­ile in digitale. E come tale, dunque, non meritevole di alcuna attenzione.

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