L’io come Babbo Natale non c’è, siamo “dividui”
Siamo individui, si ripete, esseri unici e irripetibili, ognuno con la propria personalità particolare. Ma forse questa idea che abbiamo di noi stessi è incompleta, e non riflette davvero la nostra ricchezza. Del resto, siamo composti di circa 37 trilioni di cellule, e il nostro corpo
ogni giorno, ogni momento a volere essere più precisi, subisce un numero immenso di cambiamenti e trasformazioni. Lo stesso discorso vale per la nostra mente, che è un flusso continuo di immagini, pensieri e parole, di molti dei quali non siamo neppure consapevoli. Basta provare a non pensare a nulla per 20 secondi, per scoprire quante immagini e quanti pensieri si confondano dentro di noi – pensieri e immagini, peraltro, che non è in nostro potere controllare (prova appunto a non pensare a nulla, caro lettore, se ci riesci). Ne selezioniamo alcuni, cercando di dargli una parvenza di ordine e ragionevolezza, e pensiamo che quello sia il nostro Io. Il rischio concreto è che questo supposto «io» esista come esiste Babbo Natale. Come una storia che ci raccontiamo e a cui ci piace credere.
Le complicazioni non sono solo all’interno, dentro di noi. Non meno decisivo è il rapporto con l’esterno, spiega Paolo Inghilleri nel suo ultimo libro
Cortina). L’idea di un sé autentico e indiviso si fonda anche sulla convinzione che ciò che noi siamo sia indipendente da quello che ci accade. Ma anche questa è un’illusione, aveva già spiegato Eraclito: noi siamo quello che diventiamo, e quello che diventiamo dipende dalle esperienze che facciamo e dal modo in
nostra azione non si misurerà con l’arroganza delle nostre parole». In effetti, complice l’atmosfera creata dalla pandemia, negli ultimi mesi certi eccessi sembrano essere stati abbandonati.
Il paradigma della competenza
Ora è il turno, appunto, di Mario Draghi. Quello che ci si aspetta è il passaggio dalla narrazione alla riflessione: da un facile mirante a suscitare forti emozioni verso una retorica più concreta, ispirata a una strategica razionalità. Uno stile che si lasci alle spalle quel «paradigma del rispecchiamento» in cui, per mettersi al livello (presunto) dell’uomo della strada, si continuava ad abbassare sempre più il livello dell’eloquio. Ma non per tornare al vecchio «paradigma della superiorità», a quel politichese che puntava tutto su un’oscurità tesa a impressionare (e confondere) gli elettori. Piuttosto – almeno così ci si augura – per passare a un «paradigma della competenza», in cui le cose si chiamano con il loro nome e si spiegano (e soprattutto si affrontano) con cura e attenzione.