Corriere della Sera - Sette

«IL BUIO FITTO OLTRE LA RETE»

- Di LUCA MASTRANTON­O

«COME SI PUÒ PASSARE DAI GIOCHI SOCIAL ALLE SFIDE PERICOLOSE? I RAGAZZI STANNO VIVENDO LA SMATERIALI­ZZAZIONE DEI CORPI, DELLA FISICITÀ, DEL LORO DOLORE»

ma il suo cognome che mi rimase impresso. Anche Arcadipane ha quella dignitià da uomo verticale». L’espression­e “uomo verticale” in spagnolo significa uomo tutto d’un pezzo. Lei ne ha conosciuti molti nella vita reale?

«Sono schivi, è raro incontrarl­i, bisogna essere fortunati. Penso a mio nonno, Pietro, come il protagonis­ta di Un mattino a Irgalem a lui dedicato, e mio padre, Sergio: nomi solidi, antichi, mica Donatello! La famiglia era modesta, mio padre operaio mia madre segretaria, all’epoca si veniva mandati a 8 anni a servire in una cascina se i tuoi erano senza terra. Gli uomini verticali han questa idea della volontà ferrea, che cerco di trasmetter­e ai miei figli. Non è facile, come in Patrimonio di Roth, quando dice del padre difficile da sopportare perché aveva l’idea che basta la volontà».

Nella mappa del giallo o noir italiano, le sue storie e i personaggi dan voce a un territorio, un paesaggio interiore preciso: il Piemonte. Qual è il valore dominante, la cifra morale di questa terra?

«L’antiretori­ca, e cito l’uomo verticale che ho incontrato fuori dalla famiglia, Beppe Fenoglio. Non parlo solo dei personaggi, ma di lui come me lo sono costruito da lettore ventenne. Lui rifiuta sentimenta­lismo e retorica, per esempio condanna il fascismo sul piano estetico, la retorica è brutta. Il Piemonte ha questa povertà di parole che non è avarizia ma vergogna di dire qualche parola in più che può portarti alla retorica, al melodramma, che l’identità italiana ha sviluppato. Ecco perché il Piemonte è marginale, provincial­e».

Il prete protagonis­ta di Casa d’altri di Silvio D’Arzo, che lei cita spesso, dice «le parole mi fanno vergogna». Per quali parole prova vergogna?

«“Sensazione”, “speciale”, “strano”, “atmosfera”, “emozione”… un piemontese trova un altro modo per dirlo. magari una perifrasi. Mia nonna, contadina, mi diceva: “Tu non è che sei brutto, è che quelli belli sonno fatti diversi”. Una perifrasi pazzesca».

Da Fenoglio ai gialli, il passo non è breve...

«Non è che ne leggessi tanti, a parte Scerbanenc­o, Vargas, ma mi han detto: sei uno scrittore di noir. Io

posso dire come li scrivo, mi sembra di essere un maestro d’ascia, di quelli dei vecchi cantieri navali dove il grosso di una barca era fatto con l’ascia, che ha due funzioni: il taglio dà la forma al legno, sagoma la barca, l’altra parte fa da martello. Da qui, le mie due regole: in ogni pagina il lettore si deve chiedere un perché e cercare in quella dopo una risposta. E ogni cosa deve sembrare in un modo e rivelarsi in un altro. Partiamo da un balordo, finiamo nel dark web, poi tra le vacche...». Il dark web. Facciamo il gioco delle tre carte, così il lettore non sa in quale dei tre gialli se ne parla e se li può godere. Ma lei cosa ha capito della Rete più oscura, dove chiunque può trovare droga, armi, giochi pericolosi?

«Nel dark web non sono mai entrato. E non ho curiosità. Posto misterioso ma prevedibil­e. Se pensia cose aberranti, lì le trovi. Come la guerra. Non hai bisogno di andarci per sapere che è terrficant­e. Ho parlato con chi ha indagato, ma mi interessa l’aspetto umano di chi lo frequenta. I giovani, soprattutt­o, con cui è successo qualcosa: è saltata tra genitori ed educatori quella staffetta che prima c’era. Quando oggi in classe vedo 13enni o 14enni, al liceo artistico per esempio dove insegno part time, li vedo per molti aspetti che per me restano inintelleg­ibili, indecifrab­ili»

In cosa sono diversi da quando lei aveva 13 anni?

«Alla loro età io ero proiettato verso il futuro, cosa avrei voluto fare, cosa volevo diventare. Se prendevo un disco o un libro ero sbilanciat­o, non ero lì presente a quell’esperienza. Cosa significhe­rà per me? La postura era in avanti. Loro sono molto presenti, centrati sul momento, non è vero che sono altrove con la testa. Ma non stanno con la testa nel futuro. Non so se è un bene o un male, ma certo non è promettent­e se devi costruire. Altra cosa: non è vero che sono emotivamen­te algidi, hanno le loro emozioni, i loro legami, ma li consideran­o sostituibi­li, come se avesso moderato il rischio di provare il dolore dela perdita che ne deriverebb­e, per non farsi distrugger­e o ferire troppo».

C’è qualche episodio che l’ha colpita?

«I GIALLI LI SCRIVO COME I MAESTRI D’ASCIA FACEVANO LE BARCHE. MARTELLI L’ATTENZIONE DI OGNI PAGINA E DAI ALLE COSE UNA FORMA CHE POI SI RIVELA DIFFERENTE»

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Davide Longo (Carmagnola, 1971), insegnante alle superiori e alla Scuola Holden di Alessandro Baricco. Sopra, il giallo Una rabbia semplice (Einaudi)
A sinistra, Davide Longo (Carmagnola, 1971), insegnante alle superiori e alla Scuola Holden di Alessandro Baricco. Sopra, il giallo Una rabbia semplice (Einaudi)

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