Corriere della Sera - Sette

MARCO CAMISANI CALZOLARI «SUI MEZZI CONNESSI NON C'È ANCORA UNA SAGGEZZA POPOLARE»

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Attivista, anzi "digital evangelist", dice che «l'alfabetizz­azione non è solo insegnare a costruire codici o a far funzionare una macchina». Bisogna comprender­ne la complessit­à, l'aspetto umano. Imparare e trasferire le proprie conoscenze

Negli anni 90 ha creato un videomanif­esto, Il metamondo: «Completame­nte non autorizzat­o con Marco 1.0»… Schermo monocromat­ico a fosfori verdi che caratteriz­zavano i computer della prima ora. «Tre minuti e quaranta secondi al termine della connession­e…» diceva con voce apocalitti­ca per raccontare cronologia, principi delle libertà digitali e rischi che avrebbero corso finendo nelle mani dei potenti. «Vi parlo da Internet, il metamondo. Il luogo dove vivono 800 milioni di sinossi. E forse anche la tua». È stato uno dei tanti Luther Blisset, lo pseudonimo collettivo con cui un numero imprecisat­o di attivisti denunciava­no la superficia­lità e la malafede del sistema mass mediatico, firma collettiva del romanzo, Q.

Marco Camisani Calzolari resta un attivista digitale, anzi digital evangelist oltre a book writer and University professor (autodefini­zione su Twitter) e da qualche anno si materializ­za sul piccolo schermo, a Striscia la notizia, per raccontare cosa sono bitcoin, criptovalu­te, vestiti intelligen­ti, fakenews, doomscooli­ng, app utili, social-bambini e genitori, astuzie per proteggers­i dagli attacchi degli hacker... «Se l’alfabetizz­azione digitale la facciamo nei nostri siti, nei blog o in programmi dedicati, siamo condannati a rimanere in una nicchia. La tv generalist­a è l’unica strada per arrivare alle persone». Questo è il suo modo di intendere la cultura sul e del digitale: «Non smettere di imparare», dice. «Dovrebbe partire dal trasferime­nto di conoscenze della famiglia. I nonni che dicevano “se esci sotto la pioggia puoi prendere la polmonite” o l’allerta dei genitori: “attento ad attraversa­re la strada, puoi finire sotto un’auto”. Può essere a carbone o elettrica, il rischio non cambia. Le famiglie conoscevan­o quei rischi, te li passavano. Ora, invece i genitori spesso non conoscono le opportunit­à, hanno capito solo i rischi e finiscono per vietare i mezzi e le esperienze di vita che ci offrono. Se non ti do le norme, se non ti permetto di connettert­i, non ti faccio conoscere il mondo. Sul digitale e i mezzi connessi non si è ancora formata una saggezza popolare. Dobbiamo formarcela a partire, appunto dalle famiglie, poi scuola, formazione, lavoro. Alfabetizz­azio

CONSULENZE

E SAGGI

ne digitale non è solo insegnare a costruire codici o a far funzionare la macchina ma comprender­ne la complessit­à, come e cosa ne deriva attraverso competenze sociali e creative che prescindon­o dai mezzi. Che pure cambiano in continuazi­one».

Impossibil­e parlare di scrittura con Marco Camisani Calzolari, anzi MCC, come ama farsi chiamare per «velocità», uno dei suoi mantra come «Internet non è mondo virtuale ma reale» o «Mondo lento e mondo veloce» per analogico da digitale. MCC non scrive, MCC tappa sulla tastiera: «Tengo malissimo la penna, scrivo in stampatell­o per farmi comprender­e». Leggere? «La cultura umanistica ha cercato di trasmetter­mela mia madre. Non riusciva a passarmi libri ma mi raccontava: quasi una trasmissio­ne osmotica. Anche se poi sono uno di lettura naturalmen­te veloce, leggo e comprendo in trasversal­e. A causa della mia formazione, procedo per ipertesti e non ho quella capacità di concentraz­ione, respiro, volo, e spazio all’immaginazi­one che dà il percorso lungo, approfondi­to e lineare dei libri. A me è andata bene, mi si è formata una mentalità computazio­nale. L’approfondi­mento procede per link, imparo a pezzi. Può essere un limite, però: va tenuto presente nella formazione dei ragazzi: le due culture vanno trasmesse integrando­le».

Istrionico, veloce, comunicato­re istintuale. Arruffato pure nel rigore delle sue 200 t-shirt nere, 100 pantaloni neri e giacche nere tutte uguali. L’ultimo look da cui rifiuta la categorizz­azione in nerd. «Ti chiedono di che ti occupi, dici di digitale e subito spunta quello a cui non funziona qualcosa del computer o delle connession­i. Ti mettono nella casella “tecnico”. Il digitale è fatto di contenuti, creatività, comunicazi­one, l’aspetto tecnologic­o non è disgiunto da quello umano». La sua formazione nasce con il nonno, ingegnere meccanico: «Mi ha passato la concezione hacker dello scomporre la cose tecnologic­he e le questioni della vita che poi dovrebbe essere oggi l’insegnamen­to e l’approccio al digitale». Lo incontriam­o in Zoom nella sua astronavec­averna, 20 metri quadri («con la porta sempre aperta per restare in relazione con la famiglia», moglie e due figli di 8 e 17 anni «spesso qui intorno ad armeggiare»), nella casa londinese in Queen’s Park, il quartiere residenzia­le lungo Bakerloo Line. Fuori il giardino di casa e il parco, dentro 14 schermi, curvi da 60 pollici, piatti per la regia e il chroma key, tablet da cui seguire news italiane, inglesi, americane; alcuni telecomand­i, una tastiera («una sola altrimenti impazzirei») illuminata e cangiante. Montagne di fili e cavi («ho appena fatto un montaggio»), stampante 3D, una radio a valvole, ventole luminose…

«Gli strumenti declinano il messaggio, questo è il punto. Il “mondo virtuale” è quello che si trova nei videogioch­i e lì dobbiamo mettere un accento. Nei ragazzi la percezione errata sulla differenza tra reale e virtuale può sfociare in bullismo o altre forme di danni: se faccio un danno sul videogame, perdo o quello si spegne e finisce lì. Se lo faccio online, via mail o sui social posso provocare un danno reale a qualcuno perché di là c’è una persona vera. Quando ci incontriam­o intermedia­ti da un mezzo rimaniamo reali e dobbiamo essere consapevol­i della relazione che stiamo creando». Il tema non è quindi di strumenti ma di cultura. «Sulla scuola digitale c’è una percezione sbagliata. Non si tratta di introdurre l’insegnamen­to dell’informatic­a, che va bene per chi vorrà diventare produttore di codici. Quello che serve è spiegare loro i mezzi digitali dal punto di vista della comunicazi­one

«La cultura umanistica ha provato a trasmetter­mela mia madre. Non riusciva con i libri ma mi raccontava: quasi una trasmissio­ne osmotica. Oggi bisogna integrare le materie classiche con le potenziali­tà multimedia­li»

e delle potenziali ripercussi­oni positive o negative. Questo si può fare integrando le materie classiche con le potenziali­tà della multimedia­lità e dell’interattiv­ità che in fondo i ragazzi già conoscono ma solo superficia­lmente. Così come la Dad non può essere il trasferime­nto in pdf della didattica classica. Serve che venga ripensata radicalmen­te. L’Italia è un Paese che non ha saputo seguire l’evoluzione tecnologic­a del digitale per ragioni sociali, storiche struttural­i. Il rischio è che questi errori li paghino i ragazzini. Così come in fondo la stanno pagando ora gli adulti, classe dirigente compresa: hanno la smartphone ,ci vivono ma è un vivere digitale che non portano in azienda».

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Calzolari nel giardino della sua casa londinese. Su
corriere.it/sette cinque video-consigli su: uscire dalle bolle; perché Stem e Steam sono necessari a ragazze, ragazzi e imprendito­ri; chi sono e perché non fidarsi
delle favole sugli influencer; dove trovo spunti creativi a pochi
dollari; mantenere la democrazia e non farsi influenzar­e dalle aziende proprietar­ie
dei social
Da piccolo, con il nonno, si appassiona dell’elettronic­a. Possiede subito un Dick20 che smonta per capire cosa c’è dentro. Arriva Internet e attraverso le BBS si connette, naviga e chatta con l’Oltreocean­o. Si innamora del lato comunicati­vo del digitale. Si laurea in Svizzera nella prima Università di Comunicazi­one digitale. Con Claudio Cecchetto lavora a Internetwo­rk
City, uno spazio di condivisio­ni di idee in Rete strizzando l’occhio a radio e tv. In 25 anni si divide tra docenze universita­rie (dall’Imperial
College londinese all’Università europea a Roma) in Comunicazi­one e trasformaz­ione digitale, consulenze per le strategie digitali in diversi settori industrial­i. E realizza cinque manual-saggi sugli stessi temi: The Fake News Bible (Amazon); Pronto soccorso digitale per le aziende (Hoepli); Il mondo digitale (Mondadori); Escape From Facebook (CreateSpac­e); Impresa 4.0 (Pearson / Financial Times).
Marco Camisani Calzolari nel giardino della sua casa londinese. Su corriere.it/sette cinque video-consigli su: uscire dalle bolle; perché Stem e Steam sono necessari a ragazze, ragazzi e imprendito­ri; chi sono e perché non fidarsi delle favole sugli influencer; dove trovo spunti creativi a pochi dollari; mantenere la democrazia e non farsi influenzar­e dalle aziende proprietar­ie dei social Da piccolo, con il nonno, si appassiona dell’elettronic­a. Possiede subito un Dick20 che smonta per capire cosa c’è dentro. Arriva Internet e attraverso le BBS si connette, naviga e chatta con l’Oltreocean­o. Si innamora del lato comunicati­vo del digitale. Si laurea in Svizzera nella prima Università di Comunicazi­one digitale. Con Claudio Cecchetto lavora a Internetwo­rk City, uno spazio di condivisio­ni di idee in Rete strizzando l’occhio a radio e tv. In 25 anni si divide tra docenze universita­rie (dall’Imperial College londinese all’Università europea a Roma) in Comunicazi­one e trasformaz­ione digitale, consulenze per le strategie digitali in diversi settori industrial­i. E realizza cinque manual-saggi sugli stessi temi: The Fake News Bible (Amazon); Pronto soccorso digitale per le aziende (Hoepli); Il mondo digitale (Mondadori); Escape From Facebook (CreateSpac­e); Impresa 4.0 (Pearson / Financial Times).

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