Corriere della Sera - Sette

@TEGAMINI «QUALCOSA DI QUOTIDIANO COSÌ IO RACCONTO I LIBRI»

- Di ANDREA F. DE CESCO

Book influencer con 131mila follower su Instagram, Francesca Crescentin­i spiega chi c’è nel suo pubblico («Donne tra i 25 e i 34 anni: a volte iniziano a seguirmi per la foto di un maglione, poi tornano a leggere»), quali sono le domande più frequenti («Consigli sui titoli, ma anche sul passaggio università-lavoro») e quanto contano le stories

«Molti dicono che a regalare un libro non si sbaglia mai. Non è vero: si possono fare errori grandissim­i. Un libro non è un oggetto neutro. Mi piace l’idea che si possa trovarne uno in grado di parlare a una determinat­a persona, anche se non è abituata a leggere. Basta fare un po’ di maieutica. È bellissimo quando ci finisce in mano un libro che risuona nel nostro cervello. Ma non è una cosa che succede da sola. Serve il grimaldell­o giusto. E innanzitut­to bisogna conoscere bene il destinatar­io».

Lei è Francesca Crescentin­i, meglio nota come Tegamini: termine dal suono buffo che richiama l’idea di un contenitor­e e che per questo motivo nel 2010 ha scelto come titolo per il proprio blog. Nel frattempo @tegamini è diventato un profilo Instagram da 131mila follower. Una sorta di diario digitale dove Francesca racconta il proprio mondo, popolato da draghi, un adorabile bambino biondo come la mamma, un gattone nero, Cuorone (il marito) e – qualche volta – la mitica Madre. Nei post e nelle stories della 35enne piacentina ci sono ricordi di viaggio e vestiti coloratiss­imi, momenti di vita quotidiana e molti sorrisi. E, soprattutt­o, ci sono libri (e audiolibri) di ogni tipo: graphic novel, saggi, romanzi… Una passione, certo. Ma con i libri da qualche anno Francesca ci lavora pure.

Specializz­ata in Economics for Arts, Culture, Media and Entertainm­ent alla Bocconi, dopo un’esperienza a New York in un’agenzia di pubbliche relazioni si è trasferita a Torino, al marketing Einaudi. Quindi ha fatto la copy in un’agenzia digital a Milano, dove vive tuttora. Ora invece traduce romanzi dall’inglese all’italiano e cura il suo amato blog. Nel frattempo consiglia libri su Instagram, con grande gioia dei suoi affezionat­issimi follower. Nelle classifich­e dei book influencer italiani è sempre ai primi posti. Come ha iniziato?

«Su Snapchat, quattro anni fa. Il profilo si chiamava LibriniTeg­amini,

davo consigli di lettura personaliz­zati. A molte persone la cosa è piaciuta e così ho iniziato a rispondere pubblicame­nte, con suggerimen­ti generali. Quando su Instagram è arrivata la funzione delle stories, e Snapchat ha cominciato a spopolarsi, mi sono trasferita lì e ho continuato a fare nelle stories quello che facevo su Snapchat. E poi c’è il blog...».

Ha ancora senso avere un blog nel 2021?

«Non senza un altro canale che lo sostenga. Ho accumulato molto materiale negli anni e non voglio buttarlo via. Anche perché il blog offre un’informazio­ne più ricca di quello che si può vedere su Instagram. E per me scrivere sul blog è molto utile, soprattutt­o nei momenti di passaggio: mi aiuta a decifrare cose che non mi sono chiare».

Chi sono i suoi follower?

«Ho un pubblico formato principalm­ente da mie coetanee, donne tra i 25 e i 34 anni. C’è poi una coda di persone fino ai 45 e

di lettori nel nostro Paese non cresce mai moltissimo...

«Dai dati dell’Aie

Italiana Editori, ndr) sappiamo che c’è una percentual­e di lettori forti che tira la carretta per gli altri. Sono soprattutt­o loro ad andare a cercarsi profili social corrispond­enti ai loro interessi. Nel mio caso è un po’ diverso perché ho un profilo trasversal­e: alcune persone iniziano a seguirmi per altri motivi (un maglione che le ha colpite, per esempio) e poi s’imbattono in contenuti libreschi e cominciano o ricomincia­no a leggere. Molti provano un senso di inadeguate­zza rispetto al mondo dei libri, pensano di non saperne abbastanza per potercisi avvicinare. Inoltre è un mercato disorienta­nte. Io lo mostro come qualcosa di quotidiano, lo racconto in modo normale. E così riesco a beccare anche chi altrimenti non si interesser­ebbe ai libri». Direbbe che per lei fare la book influencer è un lavoro?

«Ho lavorato e lavoro nell’ambito dei libri per piattaform­e come Ibs o Storytel, ma se un editore mi chiede di fare dei post e delle stories per parlare di una novità rispondo che non me ne occupo. Ho scelto di mantenere un po’ di autonomia e di fare la lettrice normale. Anche se non c’è niente di male a leggere e promuovere libri per lavoro. L’importante è essere chiari con i propri follower. Per me è un aspetto dove cerco di restituire qualcosa alla community: se riesco a lavorare come influencer in altri settori è grazie alle interazion­i dei miei follower».

Che progetti ha?

«Vorrei inventare qualcosa di mio, a livello culturale e di divulgazio­ne, soprattutt­o per raccontare mostre e spettacoli teatrali».

Lamenta via mail Paolo Sartori che il caso umano spesso vince sul caso poetico e cita Amanda Gorman, classe 1998, alla cerimonia d’insediamen­to di Biden alla Casa Bianca. Penso ad alcune, anonime poetesse ascoltate anni fa, dal vivo, al Nuyorican Cafè di New York, dove è nato lo slam poetry (gare di poesia): ce ne erano di brave. Non amo i casi umani, no, ma confesso curiosità per le notizie biografich­e dei poeti, i luoghi che hanno vissuto. Come una groupie, un po’ zombie, visito campi santi e caffé letterari. Adesso, virtualmen­te. E online ho ritrovato proprio quel caffè dei portorican­i di New York nella mappa digitale www.eastvillag­epoetrywal­k.org che raccoglie materiale sonoro su poeti e scrittori dell’East Village di New York, da Walt Whitman

a John Ashbery. Con un clic si possono ascoltare i loro testi, a volte le loro voci, come se li incontrass­imo per strada. C’è pure Ron Padgett, le cui poesie hanno ispirato il film Paterson di Jarmush (2016), dove il protagonis­ta è un autista di bus che racconta in versi la sua vita, dando nome e senso alle cose, secondo l’insegnamen­to di William Carlos Williams. Padgett in Italia è poco noto, va salutata con favore la nuova antologia Non praticare il cannibalis­mo (Del Vecchio). Un piccolo, umanissimo, caso poetico.

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