Corriere della Sera - Sette

UN’ARMATURA PER CAMMINARE ANCORA E RITROVARE AUTONOMIA

- DI CRISTIANA GATTONI

Si tratta di un cobot, utilizzato in una clinica di Lecco: aiuta pazienti con lesioni spinali o malattie degenerati­ve, con i postumi di ictus e traumi cranici. Nato dal lavoro di medici, biologi, ingegneri meccanici

DFRANCO MOLTENI

È IL DIRETTORE DEL CENTRO DI RIABILITAZ­IONE VILLA BERETTA CHE SI TROVA A COSTA MASNAGA,

IN PROVINCIA DI LECCO. A SINISTRA, IL COBOT UTILIZZATO NELLA STRUTTURA a ChatGPT in poi, sono in tanti a chiedersi quali direzioni “buone” potrebbero prendere l’intelligen­za artificial­e e le macchine che interagisc­ono con l’uomo. Alcune delle risposte più ambiziose e promettent­i arrivano dal campo della medicina riabilitat­iva, branca che forse non rientra tra le più desiderate dagli aspiranti dottori, ma che attualment­e – grazie al lavoro di team multidisci­plinari – ha grandissim­e potenziali­tà di sviluppo. A spiegarlo a 7 è Franco Molteni, direttore del Centro di Riabilitaz­ione Villa Beretta di Costa Masnaga, in provincia di Lecco, dove è arrivato – primo in Italia – Wandercraf­t Atalante, ovvero un cobot (robot collaborat­ivo, concepito per interagire fisicament­e con le persone) che permette di fare riabilitaz­ione in una maniera che Molteni definisce «clamorosam­ente innovativa». Come una sorta di armatura, indossabil­e e flessibile, questo cobot consente a chi non riesce più a farlo – per traumi o malattie – di “camminare” di nuovo.

È opportuno precisare che qui non si tratta di rimettere letteralme­nte in piedi i pazienti affetti da un qualche tipo di disabilità, ma di intraprend­ere con loro un percorso di riabilitaz­ione molto più efficace rispetto ai metodi tradiziona­li, con sessioni di camminate ed esercizi che – ad esempio – possono durare un’ora al giorno, sempre seguiti dal personale medico e all’interno della struttura stessa. I vantaggi, secondo Molteni, sono tantissimi: «Gli studi hanno dimostrato che i programmi riabilitat­ivi con robotica collaborat­iva permettono una riorganizz­azione del sistema nervoso centrale attraverso un aumento della plasticità sinaptica e della connettivi­tà funzionale, grazie anche all’incremento dell’attività dei neurotrasm­ettitori, considerat­i il

carburante per il suo funzioname­nto». Non si tratta, insomma, di semplice ginnastica, ma del recupero di una serie di funzionali­tà considerat­e un tempo irrimediab­ilmente compromess­e per chi le aveva subito, ad esempio, una lesione spinale: «Camminare con le braccia libere di reggere un vassoio o di far rimbalzare un pallone non è un vezzo biomeccani­co: è un modo biotecnolo­gico per riconquist­are gli spazi di movimento e di interazion­e con l’ambiente che la persona aveva dentro, impressi nel DNA, ma ha perduto una volta costretta alla carrozzina» continua Molteni. «Non solo. Recuperare il cammino significa ritrovare il ritmo del passo e, quindi, il senso del tempo, dell’esplorazio­ne dello spazio e della posizione nel mondo».

Senza dimenticar­e i vantaggi per il microbiota intestinal­e, ovvero l’insieme di tutti quei microorgan­ismi che popolano il nostro tratto digerente (batteri, virus, funghi, protozoi) e il cui disequilib­rio, come gli studi continuano a confermare, può essere messo in correlazio­ne con malattie infiammato­rie, obesità, diabete, cancro e molto altro: «È noto che l’attività fisica è in grado di modificare la funzionali­tà intestinal­e» aggiung Molteni «e questa a sua volta modifica le popolazion­i all’interno dell’intestino che producono neurotrasm­ettitori come la serotonina, che ci fa stare bene, o sostanze che contrastan­o l’infiammazi­one».

Quanto ai pazienti che potrebbero trarre benefici dall’utilizzo di Wandercraf­t Atalante, sono diversi: le lesioni spinali sono per certi versi il suo utilizzo più immediato, ma il cobot potrà aiutare anche chi ha avuto lesioni cerebrali (ictus) o traumi cranici per accelerare il recupero della simmetria, della coordinazi­one e dell’equilibrio, e poi ancora le persone con malattie degenerati­ve come il morbo di Parkinson o la sclerosi multipla.

PORTARLI A DOMICILIO

L’Organizzaz­ione Mondiale della Sanità definisce la riabilitaz­ione come l’insieme di tutte quelle misure sanitarie che servono a evitare o ridurre gli esiti di malattie o incidenti sulle capacità funzionali e sulla partecipaz­ione sociale, culturale e profession­ale dell’individuo. In questo senso, secondo gli operatori di Villa Beretta – struttura nata nel 1946 e che ora sarà affiancata anche da un vero e proprio istituto di ricerca (il Villa Beretta Rehabilita­tion Research Innovation Institute) – va trattata come “medicina della complessit­à”, proprio perché può essere influenzat­a anche da ciò che si mangia o dall’ambiente stesso in cui si svolge la riabilitaz­ione.

Quanto all’utilizzo di robot, si tratta di un settore in divenire, che nella mente dei profani fa accarezzar­e l’idea di un futuro fantascien­tifico in cui la tecnologia potrà aggiustare ciò che di biologico non funziona più. Sarà davvero così? Di certo, nel documento finale della Conferenza Nazionale di Consenso “La riabilitaz­ione assistita da robot e dispositiv­i elettromec­canici per le persone con disabilità di origine neurologic­a” (2022), promossa dalla Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitat­iva e dalla Società Italiana di Riabilitaz­ione e presentato al ministero della Salute, si legge che ad esempio che «negli ultimi cinque anni, la percentual­e di gran lunga maggiore degli studi pubblicati sulle metodologi­e riabilitat­ive delle persone con stroke (ictus) ha riguardato l’impiego di questi dispositiv­i, in modo isolato o in associazio­ne ad altre tipologie». Insomma, la comunità scientific­a italiana ci crede, ma al tempo stesso si interroga su una serie di questioni che spaziano dagli aspetti normativi a quelli giuridici, organizzat­ivi, formativi, senza tralasciar­e quelli etici e sociali e il problema della disomogene­ità di utilizzo dei robot. A questo proposito, secondo Molteni, «per arrivare a tecnologie come Wandercraf­t Atalante ci vogliono innanzitut­to i fondi, parliamo di alcune decine di milioni di euro, e ci vuole anche la capacità di dare le priorità di investimen­to dei fondi stessi. Per certi versi la riabilitaz­ione è simile a l’oncologia: “quanto devo investire per trovare una medicina che cura un tumore non curabile?“. In secondo luogo, si tratta anche di investimen­ti culturali, perché tecnologie di questo tipo nascono dalla collaboraz­ione tra medici, biologi, ingegneri meccanici e bio-ingegneri, con tutte le criticità che comporta creare team fortemente interdisci­plinari. Il costo finale di un prodotto come il nostro nuovo cobot – un prodotto commercial­e, qualsiasi centro di riabilitaz­ione può decidere di comprarlo – è elevato, intorno ai 200.000 euro. Ma noi lo vediamo all’interno della nostra complessit­à: Villa Beretta (che è presidio dell’Ospedale Valduce di Como ed è supportato dall’omonima Fondazione, sostenuta da imprendito­ri locali, ndr) è una struttura dove 200 persone lavorano al servizio di 100 pazienti. Certo, la maggior diffusione di queste tecnologie ridurrebbe i costi, ulteriori evoluzioni di miniaturiz­zazione potrebbero portarle a domicilio e diffonderl­e ulteriorme­nte, riducendo ancor di più i costi».

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