Corriere della Sera - Sette

GERRY CARDINALE «PER IL MIO MILAN VORREI ESSERE UN BERLUSCONI 2.0. GLI ALGORITMI CI AIUTANO PERCHÉ LA SERIE A NON MI ASCOLTA?»

- DI VENANZIO POSTIGLION­E E ARIANNA RAVELLI FOTO DI FEDERICO GUIDA

Il manager italomeric­ano, proprietar­io del club rossonero: «Voglio una squadra più fisica, veloce e intensa. Negli Stati Uniti chi ha soldi li investe nello sport. Le società di calcio sono creatrici di contenuti, ne detengono la proprietà»

errore più grande che si può fare con Gerry Cardinale, 56 anni («sono nato l’8 maggio come Franco Baresi»), l’ultimo dei quali speso da proprietar­io del Milan, origini italiane da entrambi i genitori («mia madre è una D’Annunzio, imparentat­a con il poeta, la sua famiglia viene dall’Abruzzo, quella di mio padre dalla zona di Napoli e dalla Sicilia») è confonderl­o con uno dei tanti americani che hanno investito nel calcio. Perché Cardinale, laurea ad Harvard, borsa di studio a Oxford, vent’anni in Goldman Sachs prima di fondare RedBird e avviare le sue mille partnershi­p, dagli Yankees al Liverpool ai Red Sox, porta con sé un’esperienza nel mondo dello sport o, per dirla con lui, «nel valorizzar­e le proprietà intellettu­ali» che pochi possono vantare. E poi perché lui stesso si sente un americano atipico: «Sono considerat­o americano e quindi colpevole fino a prova contraria! Ma io credo di avere una sensibilit­à molto europea». Sa tutto di noi («Prima di

Lcomprare il Milan ho studiato per cinque anni oltre 200 club europei»), noi sappiamo poco di lui: non ha mai parlato con la stampa italiana da quando un anno fa ha concluso l’acquisizio­ne da Elliott. Con un caffè in mano, alla vigilia del derby, racconta la sua visione per diventare, lo dice lui, «un Berlusconi 2.0» nel calcio. Con un principio guida: «Cambiament­o non è una brutta parola».

Cardinale, la prima immagine che abbiamo visto di lei, un anno fa, è una foto in cui si trova in piazza Duomo mischiato ai tifosi che festeggian­o lo scudetto: ancora non aveva comprato il Milan. Perché c’è andato e cosa ha capito da quella esperienza?

«In realtà avevamo già definito tutto, ma avevamo deciso di non renderlo pubblico prima dell’ultima partita per non interferir­e. C’è un retroscena che nessuno sa: mio papà era solito mandarmi in Italia quando ero bambino. Ero qui nel 1982 quando gli Azzurri hanno vinto la Coppa del mondo: guardavo Franco

Baresi, Daniele Massaro, Paolo Rossi, avevo il loro poster in camera, ne dovrò parlare con Franco e Daniele! Ero in un paesino in provincia di Salerno, Santa Maria di Castellaba­te, ho festeggiat­o con i tifosi per strada, avevo 15 anni e non avevo mai vissuto un’esperienza così. Per questo sono andato in Duomo, è stato come ripercorre­re un momento emotivamen­te molto forte; una sensazione molto intima. Quella fotografia rivela il mio essere appassiona­to, ma non emotivo, c’è differenza».

La spieghi.

«Le emozioni sono dei tifosi, la mia responsabi­lità mi impone autodiscip­lina. La Curva Sud è fantastica. I tifosi sono nostri partner, parte del patrimonio culturale del club: qui c’è una comunità, in America è diverso».

Perché ha scelto il Milan?

«Penso da sempre che sia uno dei 4-5 top club in Europa. Siamo qui grazie a quello che hanno fatto i nostri predecesso­ri, Silvio Berlusconi, Gianni Rivera prima di lui, Sacchi, Baresi, Maldini...».

Cosa rappresent­a per lei Berlusconi?

«Ho un enorme rispetto, era un grande visionario, i risultati parlano per lui. Berlusconi ha portato il Milan al top poi è stato difficile tenere il passo perché il mondo stava cambiando, con una forte evoluzione nella fruizione dei contenuti e nelle tecnologie. Questa è una grande lezione, non si può mai riposare sugli allori. È la stessa che ho imparato

«VENT’ANNI FA LO SPORT ERA CONSIDERAT­O UN HOBBY PER RICCHI MA ORA I SOLDI LI HANNO TUTTI QUINDI BISOGNA AVERE UN PIANO»

in Goldman Sachs: ogni anno ci riunivamo per esaminare i risultati, eravamo sempre i primi, ma se voi ci aveste visti avreste pensato che fossimo ultimi in tutto perché analizzava­mo ogni business valutando come avremmo potuto fare meglio». Lei ha detto che i club di calcio «sono pezzi di proprietà intellettu­ale che hanno il legittimo diritto di essere monetizzat­i». Cosa vuol dire?

«I club di calcio sono creatori di contenuti e come tali ne detengono la proprietà intellettu­ale: è un enorme potenziale da sbloccare per realizzare il loro vero valore. Ho cominciato più di 20 anni fa, quando lo sport era considerat­o un hobby per ricchi. Con George Steinbrenn­er dei New York Yankees abbiamo creato da zero lo Yes Network, oggi la rete sportiva regionale n.1 in America. La cosa che mi piace della proprietà intellettu­ale è che è resiliente, supera crisi finanziari­e e pandemie, ma richiede un costante lavoro. La tecnologia continua a cambiare e i fan vogliono sempre più “consumare” i contenuti in modo diverso: via cavo, in streaming, attraverso i social. Non basta presentars­i con i soldi e comprare: oggi i soldi li hanno tutti, bisogna avere idee innovative e un piano».

E lei è soddisfatt­o del suo primo anno di Milan?

«Non ho ancora fatto nulla! Sono entrato in punta di piedi, ho mantenuto l’organizzaz­ione ereditata. Del resto, ho grande rispetto di Paolo Scaroni, scelto da Elliott che ha fatto un grande lavoro e che ringrazio: è così coerente con il mondo da cui provengo e al tempo stesso così milanista e autorevole. Una delle mie mosse migliori è stato portare al Milan Giorgio Furlani (ad) e Stefano Cocirio (direttore finanziari­o) che hanno lasciato Elliott senza controvers­ie. Mi ha dato il tempo necessario per valutare cosa funzionava e cosa no. Questa è la prima stagione in cui metto mano al calciomerc­ato, al progetto stadio e iniziamo ad applicare le nostre idee per valorizzar­e il brand».

Ha citato Elliott: tutti sanno che RedBird è stata finanziata da un vendor loan per l’acquisizio­ne. Come sa, questo ha generato molti rumors. Questa è l’occasione per chiarire.

«Spazzatura. La realtà è che alla proprietà RedBird fa capo il 100% del Milan: ha messo 600 milioni di capitale e controlla il 100% di quel capitale. Ho ritenuto che la continuità con Elliott fosse una

virtù e perciò ho preferito un suo puro finanziame­nto, senza quote nel capitale, per 550 milioni a un tasso di interesse molto interessan­te, che pagherò in tre anni. Avrei potuto raccoglier­e un miliardo cash, avrei potuto coinvolger­e banche terze, ho scelto di farlo con Elliott, perché ho un enorme rispetto per Paul e Gordon Singer. È stato un modo intelligen­te di comprare il Milan: certezza, rapidità, la possibilit­à di assicurarm­i continuità per partire forte».

Si è molto parlato del modello Moneyball: sono gli algoritmi a scegliere i giocatori?

«È cruciale capire che i dati sono solo uno degli strumenti nella nostra “cassetta degli attrezzi”. Da quello che leggo sembra che se sei un esperto di dati allora vuol dire che non fai bene lo scouting. È ridicolo. Moneyball è stato scritto 20 anni fa, oggi tutti utilizzano i dati ma nel nostro portafogli­o c’è un’azienda di analisi con 13 ricercator­i del Mit. Il calcio europeo non è il baseball, richiede un diverso livello di sofisticaz­ione e noi crediamo di essere all’avanguardi­a».

Che cosa ha capito del calcio in Italia e che contributo pensa di poter portare lei?

«La cosa che più mi ha colpito in questo primo anno è vedere la distanza con il Chelsea nelle due sfide di Champions. Perciò ho voluto un Milan più fisico, più veloce, più intenso, nelle prime partite si è visto. Farò di tutto per avere un club vincente, ma come partner della serie A dobbiamo augurarci pari impegno per ridurre il gap di tutto il campionato con la Premier. Per riuscirci bisogna cambiare. Io credo di poter contribuir­e, ho 30 anni di esperienza, ho lavorato coi migliori. I partner di aziende nel nostro portafogli­o sono Apple, Amazon, Paramount, Disney, Espn, Fox, ho trovato strade innovative per massimizza­re il valore del prodotto. Sono deluso che la serie A non ne abbia tenuto conto. Io ho dato la disponibil­ità a condivider­e le mie esperienze, ma nessuno sembra ritenerle rilevanti».

In questa crescita lo stadio è un punto fondamenta­le: l’impianto del Milan sarà a San Donato?

«I presuppost­i sono incoraggia­nti. Con il benestare del Comune di San Donato e della Regione, che ringraziam­o, abbiamo già svolto diverse sessioni molto produttive. La nostra proposta è supportata da un volume imponente di relazioni tecniche: sarà uno stadio all’avanguardi­a, a 10 minuti di metro dal Duomo, porteremo eventi dal vivo, artisti di fama mondiale suoneranno lì. Un’opportunit­à mancata per Milano, con nostro forte rammarico, perché ho maturato grande stima per il sindaco Sala. Sono deluso soprattutt­o perché ci sono state alcune minoranze pregiudizi­almente contrarie, che hanno sbarrato la strada anche al progetto a La Maura. Sarebbe stato l’impianto sportivo più verde al mondo, con l’85% dedicato al verde e solo il 15% di area cementific­ata».

È pentito di aver investito in Italia? Pensa che la burocrazia sia troppo opprimente?

«No, qui mi sento a casa. Quando abbiamo comprato il Milan, in America mi dicevano: “Siete pazzi, non potete fare affari in Italia. C’è la burocrazia, c’è la politica”. E quando ho pensato di costruire un nuovo stadio, mi è stato detto: “Scordatelo. Hai visto cos’è successo a Roma?”. Ma, a parte che sentirmi dire che non riuscirò a fare una cosa aumenta la mia determinaz­ione, io vedo l’Italia con occhi diversi, penso che gli italiani siano collaborat­ivi e aperti al dialogo. Mi piacerebbe investire di più qui. Quando costruirem­o il nuovo stadio sarà un progetto da un miliardo e sarebbe un bel segnale se fosse sostenuto anche da capitali italiani. Sarebbe una risposta a chi sostiene che in Italia non si

«IL PROGETTO DELLO STADIO A SAN DONATO HA PRESUPPOST­I INCORAGGIA­NTI, PECCATO CHE MILANO ABBIA PERSO L’OCCASIONE»

può fare impresa».

È riuscito a visitare Milano? Cosa ha apprezzato di più?

«Amo andare in giro e scoprire ristoranti­ni che non conosco, voglio integrarmi, diventare un po’ milanese. Amo essere milanista, parte di questa comunità. Ora le persone mi riconoscon­o, mi piace che si avvicinino».

Quest’estate c’è stato un cambiament­o nel management. Non teme che alla prima sconfitta glielo rinfaccera­nno?

«In quel momento qualcuno aveva commentato: “Ecco, Cardinale non vuole spendere nel Milan”. Ma credete che investa 1,2 miliardi per guadagnarc­i subito? È un progetto a lungo termine: voglio vincere, ma non una volta sola, tante, nel tempo. Nel calcio voglio essere un Berlusconi 2.0, avere il suo stesso impatto in un contesto completame­nte cambiato. Ora, con il più alto fatturato nella storia del Milan e un bilancio che si chiuderà in attivo per la prima volta dal 2006, affrontiam­o una nuova fase: vogliamo essere i n.1, ma non possiamo riuscirci senza cambiament­i».

A Harvard e Oxford lei praticava canottaggi­o, lo sport le ha insegnato qualcosa?

«Sono cresciuto a Filadelfia, lì John Kelly, il fratello di Grace Kelly, era un canottiere molto famoso. Il bello del canottaggi­o è che è lo sport di squadra per eccellenza: quando si rema in realtà si va

«AMO GIRARE PER MILANO A CACCIA DI RISTORANTI­NI, I TIFOSI HANNO COMINCIATO A RICONOSCER­MI, MI PIACE CHE SI AVVICININO»

all’indietro, a ogni bracciata si crea un vortice in acqua e tutti possono vedere chi ha tirato e chi no. Questa è l’etica del canottaggi­o. Oggi vogo più sulla macchina e gioco a tennis, che mi interessa come investimen­to per RedBird. Ho un ottimo rapporto con Novak Djokovic, grande tifoso del Milan». Sappiamo che non è attivo sui social, ma pensa abbiano un ruolo nel calcio?

«Di base sono moralmente contrario. Ho dei figli piccoli, una di 16 anni che è abbastanza brava a non seguirli troppo, ma per i ragazzi possono diventare pericolosi. Io credo nella comunicazi­one faccia a faccia, nello scrivere una lettera, nel fare una telefonata. I social possono essere ottimi per unire la nostra comunità di tifosi, ma vanno usati responsabi­lmente».

Come è il rapporto tra gli americani e il calcio? È rimasta una simpatia o sta diventando un vero amore con l’arrivo di Messi?

«Bella domanda. Ora che lo streaming ha permesso al calcio europeo di essere trasmesso in diretta in America, sarà molto difficile competere, la maggior parte dei tifosi Usa guarda le squadre europee. L’arrivo di Messi ha portato a un aumento dell’interesse, ma 15 anni fa lo ha già fatto Beckham: due giocatori non portano il calcio americano dove deve essere».

Cosa ne pensa del fenomeno dell’Arabia Saudita? Durerà?

«Non so se durerà, ma ho un enorme rispetto per i sauditi. Se come sembra, vogliono entrare nell’ecosistema dello sport mondiale e migliorarl­o, portare nuove idee, penso che sia positivo. In generale oggi chi ha soldi investe nello sport: si è verificata una massiccia escalation delle valutazion­i. L’ho già detto in America, siamo in una bolla. Ma nulla sale sempre e comunque».

E quando la bolla scoppia non tutti sopravvivo­no.

«È necessaria un’evoluzione nel tipo di capitale che possiede le squadre sportive. Io non stacco assegni, io scrivo business plan. E se scrivete il business plan e lo sottoscriv­ete con gli altri componenti della catena del valore, come i tifosi, come le istituzion­i locali, come i media, scriverete un business plan che funzionerà».

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 ?? ?? A bordo campo, insieme all’attore ed ex-wrestler Dwayne Johnson, durante una partita
di XFL, la lega profession­istica di football americano
A bordo campo, insieme all’attore ed ex-wrestler Dwayne Johnson, durante una partita di XFL, la lega profession­istica di football americano
 ?? ?? Cardinale allo stadio San Siro. Sulla Curva Sud dice: «È fantastica. I tifosi sono nostri partner, parte del patrimonio culturale del club: qui c’è una
comunità, in America è diverso»
Cardinale allo stadio San Siro. Sulla Curva Sud dice: «È fantastica. I tifosi sono nostri partner, parte del patrimonio culturale del club: qui c’è una comunità, in America è diverso»
 ?? ?? 22 maggio 2022: in piazza Duomo con i tifosi del Milan
durante i festeggiam­enti per lo scudetto. Cardinale non era ancora ufficialme­nte proprietar­io della squadra rossonera, ma nell’intervista svela: «In realtà avevamo già definito tutto»
22 maggio 2022: in piazza Duomo con i tifosi del Milan durante i festeggiam­enti per lo scudetto. Cardinale non era ancora ufficialme­nte proprietar­io della squadra rossonera, ma nell’intervista svela: «In realtà avevamo già definito tutto»

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