«MIO FIGLIO NEURODIVERSO MI HA LIBERATO DALLA GARA DEI BAMBINI-TROFEO»
La scrittrice canadese e il suo nuovo libro Doppio: «Viviamo in un mondo dove la destra e la sinistra possono confondersi, così come la realtà e la finzione, la scienza e la credenza, la vita virtuale e reale. Il Covid ha accelerato queste polarizzazioni, ma i progressisti hanno le loro colpe»
iete stanchi delle bolle informative in cui trovate solo chi la pensa come voi? Dell’illusione di sentirvi superiori proiettando le insicurezze sugli altri? In giro vedete bambini che sono repliche dei genitori? Se la risposta è sì, troverete ossigeno nel nuovo libro di Naomi Klein, che invita a smettere di cercare fuori e dentro di noi solo conferme di quello che siamo o crediamo di essere e sapere. Si intitola Doppio. Il mio viaggio nel Mondo Specchio (La nave di Teseo di Elisabetta Sgarbi), e squaderna il tema del doppio, del sosia, negazione dell’unicità e dell’identità, mescolando letteratura e neurologia, storia e politica, medicina e complottismi, dalle allucinazioni di Edgar Allan Poe fino alla setta di QAnon, raccontando il nuovo fronte politico che mette assieme salutisti no vax, eco-fascisti, femministe-pistolere, animalisti-giustizialisti, radical-narcisi...
SA SINISTRA, NAOMI KLEIN, A DESTRA LA COPERTINA DI DOPPIO. IL MIO VIAGGIO NEL MONDO
SPECCHIO, (TRAD. A. SILVESTRI E A. TERRANOVA) EDITO DA LA NAVE DI TESEO DI ELISABETTA SGARBI, IN USCITA IL
19 SETTEMBRE
Il libro racconta il Mondo specchio, dove si confondono realtà e finzione, scienza e credenza, reale e virtuale, senza risparmiare sé stessa. Per l’autrice di No logo è una resa dei conti con la parte liberal-progressista, affetta da una sindrome di superiorità che ha consegnato molti Paesi alla destra. Una destra che, per certi versi, assomiglia alla sinistra. Nel Mondo Specchio dilagano l’irrazionalità, i salti logici, le narrazioni complottiste che danno risposte facili a problemi complessi ma reali. Viviamo in tempi inquieti, di choc, per citare l’altro best-seller di Klein, The Shock Doctrine, che raccontava come il capitalismo prosperi quando la distanza tra l’evento inatteso e le narrazioni per spiegarlo diventa un baratro, ecco lo choc. La rivoluzione digitale, per molti, è uno choc. E ancor più, il covid, per tutti: ha accentuato la polarizzazione del pensiero che si auto-legittima delegittimando l’altro, ma dell’altro ha bisogno, in maniera perversa. Klein fa l’opposto: invita a misurarsi con chi la pensa diversamente, invita a pensarsi diversi.
Di fronte a queste spinte centrifughe, l’ottima tenuta del libro è anche nella cornice autobiografica a partire dal fatto che Naomi Klein, progressista e anti-capitalista, viene sempre più confusa con un’altra Naomi, Naomi Wolf, che da pioniera del femminismo è diventata paladina di Steve Bannon, tutta armi e lotta a Big Pharma: anti-sistema, ma da destra. E poi c’è la Naomi Klein madre di un ragazzo autistico che ha visto le fragilità dei genitori vittime di teorie complottiste sui vaccini e la vanità di quelli che vedono nei figli dei cloni. C’è la Naomi Klein ebrea che si rilegge Hitler per ricordarci che quello che ricordiamo come Satana, e che viene citato da chi vuole delegittimare il proprio avversario, non era un nemico venuto da fuori, ma da dentro, dalla cattiva coscienza imperialista dell’Europa: ne era il sosia, il doppio, il doppelgänger, per usare il termine tedesco che è il titolo originale del libro di Klein, che ha conversato con noi via zoom dalla British Columbia, dove vive quando non è a New York o Toronto.
NAOMI KLEIN è autrice di best seller internazionali tra cui No Logo, Shock Economy, Una rivoluzione ci salverà e Il mondo in fiamme, pubblicati in oltre 35 lingue. È professoressa associata al dipartimento di Geografia dell’Università della British Columbia, dove è co-direttrice e fondatrice del Centro di Giustizia Climatica, e insegna Media e Clima alla Rutgers University. Collabora con le principali testate mondiali e ha una rubrica su The
Guardian.
Doppio. Il mio viaggio nel mondo specchio è il nuovo libro di Naomi Klein pubblicato da La nave di Teseo di Elisabetta Sgarbi. Una riflessione visionaria su identità, finzione e intelligenza artificiale. Un invito ad attraversare lo specchio dei nostri schermi per vedere meglio il mondo di oggi e possibilmente quello
di domani
Nel 2001 uscì No Logo, best-seller del movimento No global, che era soprattutto di sinistra. Vent’anni dopo, la destra è al potere in vari Paesi. Com’è possibile?
«La politica è affetta da horror vacui. Laddove si genera un vuoto, o un’apertura che non viene colmata dalla speranza di una trasformazione e inclusione di tutti, qualcun altro la colmerà di paura, odio e violenza. Nessun vuoto resta tale. Alla fine degli Anni 90 era in corso un tentativo concreto, serio e potente di colmare quel vuoto con la speranza, con la visione di un mondo che non ci schiera gli uni contro gli altri. In quel periodo, ho partecipato a grandi manifestazioni in Italia che mettevano a fattor comune la tutela delle piccole imprese italiane e l’unicità delle comunità senza sciovinismi, in un’ottica che era addirittura a favore dell’immigrazione. Le stesse persone che gridavano “no global” stavano anche dalla parte dei migranti. Si opponevano al sistema stesso, le regole scritte dall’Organizzazione mondiale del commercio, il
FMI, Banca mondiale, G8, Davos... Questi movimenti difendevano con orgoglio la cultura italiana, ma in modo non sciovinista né xenofobo, anche se sono certa che ci fossero alcuni elementi di questo tipo. Ricordo di essere andata a Napoli a un concerto di Manu Chao, subito dopo i fatti di Genova, e c’erano tanta diversità e tanta solidarietà verso i migranti; questo creava unione. Mentre ora, con persone come Meloni e il suo amico Bannon…»
Che idea si è fatta di Giorgia Meloni?
«Vedo Giorgia Meloni come il doppelgänger del movimento anti-corporate di sinistra che è esploso a Genova nel 2001».
In Italia c’è chi si concentra sulle nostalgie fasciste di alcuni uomini del suo partito, lei invece ne parla come di una politica che ha preso il posto lasciato dalla sinistra.
«Sì. Serve un passo indietro, per partire dal fallimento di sinistra, il nostro fallimento come movimento, consumato dopo i fatti di Genova e Occupy Wall Street, la primavera araba: lì le persone erano dalla nostra parte, ma occorreva un progetto politico, e non eravamo pronti. Ha fallito Podemos in Spagna, e gli amici egiziani? Stesso copione: han creato un vuoto ma il movimento si è perso in lotte intestine finché il vuoto non è stato colmato da Fratelli Musulmani. Ogni luogo è diverso, ma ovunque, se apri un varco, devi essere pronto a riempirlo. Il messaggio del mio libro è che le Meloni e i Bannon del mondo sono i nostri doppelgänger, i doppelgänger della sinistra. A fronte della grande rabbia delle persone verso Big Tech, Big Pharma, le banche, l’unica cosa che interessa loro è prendere la forza della contestazione, del dolore e della frustrazione delle persone, costruirci sopra un dibattito e spostare l’attenzione: dare la colpa agli immigrati, gli homeless, ai soggetti deboli della società. Assorbono l’energia della contestazione ma la deviano verso chi è meno potente in assoluto. Sono disonesti ma molto abili».
Lei rispolvera la critica alla velocità e al profitto del capitalismo. Ma prima la sinistra deve perdere il complesso di superiorità, verso la destra o i complottisti.
«Facciamo tutti i conti con il nostro lato negazionista. Credo che le teorie complottiste siano una forma di negazionismo, un modo di ignorare ciò che è difficile affrontare. Per le persone di sinistra più progressiste è facile dire “guarda che stupidi, noi invece siamo così bravi, siamo capaci di affrontare i temi difficili, e credere al cambiamento climatico”. Ma ci sono tanti modi in cui anche noi stessi distogliamo lo sguardo. Se ci guardiamo bene allo specchio, vedremo che i doppelgänger parlano di noi. Noi creiamo dei doppi per non dover affrontare la realtà. Io credo che ora ci troviamo in un altro momento simile, in cui il doppio ci aiuta a vedere noi stessi. Uno dei modi in cui ci sdoppiamo è attraverso i figli, lei ne ha? Le piacciono?»
«IN CAMPAGNA STAVO MEGLIO, NON AVEVO L’ANSIA DELLA CITTÀ DOVE I GENITORI E LE MAMME INFLUENCER VEDONO NEI PROPRI FIGLI UN MINI-ME CON CUI REPLICARSI»
Io no, ma ho amici e amiche con figli. Se mi piacciono? Dipende dai genitori, da come li crescono.
«Ecco, il mondo è pieno di “mini-me”, su Instagram ci sono le momfluencer, mamme influencer… Ora, mio figlio non è assolutamente un mini-me, è un ragazzo a sé, neurodiverso, neuroatipico, e mi ha costretta ad abbandonare qualsiasi idea potessi farmi della genitorialità come replicazione di sé. Non dico d’essere migliore di chi segue quello schema, non avevo scelta perché mio figlio è diverso, non può diventare così. Nel libro ne parlo, ma non di lui, ha solo 11 anni, parlo delle mie esperienze con altri genitori soprattutto in città, dove tutto è una gara. In campagna stavo meglio, non ero in ansia, non sentivo la necessità di gareggiare. A Toronto invece ricordo le lezioni di yoga con mamme con bambino… mi guardavo intorno e sentivo la necessità di avere tante cose, fare confronti tra mio figlio e gli altri, a pensare “come mai lui è così e loro sono cosà”. Era davvero una gara, in città». Nel libro descrive una scena in un parco, con un padre che elogia la figlia per aver aiutato suo figlio.
«Sì, e dopo averla elogiata per aver aiutato un bambino diverso, si è rivolto a me e mi ha raccontato che è straordinaria: gioca a scacchi, suona il violino, fa ginnastica, recita Romeo e Giulietta… che tristezza, era una bambina magnifica, non c’era bisogno di trasformare l’infanzia in una corsa al successo, una figlia in un trofeo. Lì, sono stata profondamente grata verso mio figlio: se ne avessi avuto uno in grado di vincere qualsiasi gara non so se sarei così non competitiva, è qualcosa che hai dentro, difficile resistere, l’uomo è un animale sociale, si confronta. Credo sia un regalo molto speciale avere un bambino che non sarà in grado di competere all’interno di quel mondo e seguirà la sua strada, forse sarà meravigliosa, certo sarà sicuramente solo sua. Non convenzionale. Lui non è la mia copia in piccolo, è una persona a sé e io un “mini-me” non lo voglio».
Nel libro lei racconta com’è nata la falsa credenza del rapporto tra vaccini e autismo e come si diffonda tra i genitori di varie classi sociali e indirizzi politici.
«Ho incontrato genitori che non riuscivano ad accettare i figli e che fossero nati così, cercano qualcuno a cui dare la colpa per il fatto che il bimbo non è perfetto, o “normale”. Cercano cure miracolose o azioni legali contro le aziende che producono i vaccini. Li ho incontrati, ho visto cosa stavano facendo ai loro bambini e mi si è spezzato il cuore perché i bambini si rendono conto che i genitori stanno cercando di curarli, anziché di aiutarli, che è diverso. È una forma di violenza far capire ai bambini che mamma e papà vedono la loro differenza come qualcosa da correggere. La stessa cosa accade ai ragazzini omosessuali che vengono mandati dai genitori a farsi curare, con queste terapie di conversione».