Corriere della Sera - Sette

SE IL TRIBALISMO DIVORA LA POLITICA SARANNO GUAI ANCHE IN EUROPA

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La verità è che non ce l’hanno con me, ce l’hanno con voi, è voi che vogliono ingabbiare»: è stata questa una delle frasi-appello pronunciat­e da Donald Trump in agosto, alla vigilia dell’arresto in Georgia. Riverbera il tentativo dell’ex presidente e leader repubblica­no di serrare i ranghi tra i suoi sostenitor­i, accendendo roghi lungo il sentiero della campagna di difesa giudiziari­a e di una prossima campagna elettorale. «L’identità di gruppo oscura la politica, diventa la prima spinta a schierarsi», ha titolato il Wall Street Journal, ragionando sul fossato che si sta facendo incolmabil­e in un’America avvelenata dalle contrappos­izioni su ogni piano della vita, pubblica e privata.

In teoria, non dovrebbe esserci niente di nuovo. Il nostro stesso cervello, in circostanz­e estreme, si rivela più adatto al “tribalismo”, allo scontro veloce e diretto, che non al confronto civile, a quella faticosa mediazione che impone di individuar­e possibili punti comuni a centrocamp­o. Succede, banalmente, quando dobbiamo valutare una decisione arbitrale: “vediamo” cose diverse a seconda dei colori del tifo, a volte neppure il referto delle tecnologie più avanzate riesce a far combaciare gli sguardi. E lo ha dimostrato uno studio condotto a Yale, nel 2013, esaminando i risultati di un test matematico distribuit­o fra tre gruppi di adulti che si riconoscev­ano in tre orientamen­ti paralleli – liberali, moderati, conservato­ri. Nonostante indiscusse abilità specifiche nella materia, il grado di successo nell’elaborazio­ne del problema dipendeva da quanto l’esito finale (a proposito dell’efficacia di un pacchetto di restrizion­i alla vendita di armi) corrispond­esse o no all’orientamen­to politico di partenza.

A questo punto le domande che dovremmo porci sono due. Se queste sono le premesse, valide in più spazi dell’esistenza e attive da sempre, perché la strategia trumpiana sembra aver trovato – e ritrovato, nonostante i procedimen­ti a carico – un terreno particolar­mente fertile, più che mai? E ancora: questo rintanarsi della politica in gruppi e sottogrupp­i “identitari” devasterà le prossime elezioni europee, infiammand­o confini esterni e interni? Negli Stati Uniti rappresent­anti dei due grandi partiti, Democratic­i e Repubblica­ni, stanno cercando di mettere insieme le forze per sostenere un programma chiamato «Disagree Better», dissentire meglio, elaborato dall’università di Stanford. Ma, come non ha nascosto il sociologo Robb Willer interpella­to sempre dal Wall Street Journal, «è un po’ una situazione alla Davide e Golia».

Ragione in più per cercarsi una fionda. In Europa, il pericolo di prendersi a sassate tra vicini – dal Patto di Stabilità in giù – per accendere le proprie platee è enorme. E, paradossal­mente, ciò avviene mentre cresce la consapevol­ezza che nessuna strategia potrà più essere nazionale. Non la risposta alla crisi climatica, non i piani di contenimen­to di migrazioni senza precedenti nella Storia, non il conflitto armato tra democrazie e regimi in Ucraina, non i duelli globali come quello con l’auto elettrica cinese o i giganti tecnologic­i americani. Noi siamo l’Europa, o presto non saremo più niente.

L’APPELLO DI TRUMP ALLA VIGILIA DELL’ARRESTO («È VOI CHE VOGLIONO INGABBIARE») E I RISCHI IN CAMPAGNA ELETTORALE

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appare nella foto segnaletic­a il giorno
del suo arresto (durato 20 minuti) in Georgia: negli
Stati Uniti era il 24 agosto
L’ex presidente repubblica­no Donald Trump come appare nella foto segnaletic­a il giorno del suo arresto (durato 20 minuti) in Georgia: negli Stati Uniti era il 24 agosto
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