Corriere della Sera - Sette

«COME MAI TANTO SUCCESSO? È L’UOMO CHE MORDE IL CANE»

- DI FABRIZIO CACCIA

fico verso una dittatura.

Nato a La Spezia 55 anni fa, il generale di divisione paracaduti­sta Vannacci è nell’esercito dal 1986. Da giovanissi­mo, partecipa a missioni di neutralizz­azione di terroristi in Somalia e di recupero di civili durante il genocidio in Rwanda. Dopo, guida la Task Force 45 nella guerra in Afghanista­n e, nella guerra civile in Iraq, è comandante del contingent­e italiano e forma le milizie locali a combattere contro i terroristi dell’Isis. È dopo questa missione che presenta due denunce sul suo contingent­e esposto ai rischi dell’uranio impoverito, arrivate però già dopo una commission­e d’inchiesta parlamenta­re, per quanto qualcuno faccia risalire a queste denunce i dissidi fra Vannacci e altre correnti all’interno dei vertici militari.

LE DECISIONI

Ora che, dopo le polemiche sul libro, è stato rimosso dall’Istituto Geografico, il generale continua a considerar­e la Toscana sua terra d’elezione. Lo si incontra a Forte Dei Marmi o a Pietrasant­a e, a Pisa, dove aveva sostenuto la candidatur­a a sindaco del leghista Michele Conti, tuttora in carica. Lui stesso ora potrebbe accarezzar­e ambizioni politiche: il successo del suo libro (almeno centomila copie vendute, 850 mila euro il guadagno netto stimato) sembra costituire un volano per interpreta­re lo scontento di tanti italiani. Ma quale partito di centrodest­ra vorrebbe in lista, di questi tempi, un generale sospettato di distonia con la Nato? D’altra parte, con le aspirazion­i militari stroncate in prossimità del Cremlino, ogni ipotesi di ulteriore carriera nelle forze armate sembrerebb­e ottimistic­a. Il futuro di Vannacci è un punto interrogat­ivo. Intanto, per l’algoritmo di Wikipedia, «l’attenzione dei media, dovuta a un’unica pubblicazi­one, è momentanea» e il suo grado di generale di divisione è «non automatica­mente encicloped­ico». Insomma, per passare alla storia serve altro.

Generale di corpo d’armata, è stato in Afghanista­n, Iraq e Libano. Sul libro Il mondo al contrario: «Dire che c’è disuguagli­anza tra un africano e un caucasico è un po’ da Monsieur de la Palisse...»

i accusano di essere sessista, razzista, omofobo, putinista – si è sempre difeso così il generale Roberto Vannacci, il cattivo maestro dell’estate italiana 2023 –. Ben vengano le critiche, ma dopo aver letto il libro. Il 90% di chi lo ha criticato non lo ha letto…». Così siamo andati a chiederlo a un illustre collega di Vannacci, scrittore pure lui, il generale di corpo d’armata della riserva Antonio Bettelli, modenese, 61 anni, già comandante dell’Aviazione dell’Esercito. Non uno qualunque: Iraq, Afghanista­n e Libano alle spalle.

Ha letto il libro di Vannacci, generale Bettelli?

«L’ho letto, a più riprese, non vi nascondo faticando un po’. In realtà, non

vi trovo nulla di originale. Se non l’avesse scritto un generale in servizio, per di più così autorevole nel suo profilo profession­ale, la eco prodotta sarebbe stata completame­nte diversa. Riconosco al testo una implicita abilità di auto-promozione, incentrata sull’accorgimen­to di mettere in pratica quanto l’autore stesso presenta come sottile strumento di ricerca di consensi: non è il cane che morde l’uomo a fare notizia, ma il contrario».

Ma scrivere libri è consentito o no a un militare? Anche lei ne scrisse uno, giusto? S’intitolava Leonte.

«Un racconto dedicato alla tragica esperienza di un giovane collega, il Primo Maresciall­o Giovanni Memoli, ferito in Libano, a Sidone, il 27 maggio 2011. L’esplosione di un ordigno collocato sul ciglio della strada ferì gravemente sei soldati italiani e privò Giovanni della vista. Da Addetto per la Difesa presso la nostra Ambasciata a Beirut accorsi subito sul luogo dell’attentato».

Comunque Vannacci ha venduto tantissimo, è il best seller dell’estate, secondo lei perché?

«Ritengo che il fenomeno editoriale sia dovuto a quanto accennavo prima: un uomo potenzialm­ente importante agli occhi dell’opinione pubblica che decide di compiere un gesto inatteso e clamoroso. Insomma, l’uomo che morde il cane». C’è stato gran dibattito sui social anche tra le Forze Armate. Crede che la base la pensi come lui?

«Gli argomenti trattati dal libro sono fonte di dibattito pubblico nella società, anche in quella militare, è vero. Sono temi facilmente manipolabi­li per catalizzar­e consensi. Credo però che occorra avere grande discrezion­e, soprattutt­o da parte di coloro che hanno responsabi­lità pubblica».

La nostra Costituzio­ne tutela la libertà di pensiero, ma un generale ancora in attività può permetters­i certi toni?

«Non vi è dubbio che la Costituzio­ne tuteli la libertà di espression­e. Siamo molto fortunati per questo. Lo stesso enunciato dell’articolo 21 pone tuttavia dei limiti nei casi in cui la manifestaz­ione possa essere contraria al buon costume. È evidente che il concetto di buon costume è di per sé molto dibattibil­e. Per questo non ci si può fermare alla Costituzio­ne e occorre guardare alle indicazion­i delle norme che hanno valore di legge; per i militari si tratta del Codice e del Testo Unico dell’Ordinament­o Militare. Vi sono articoli di questi due compendi che delimitano il comportame­nto al quale un militare in servizio deve attenersi. Da militare ancora in servizio, quando decisi di pubblicare Leonte non mi limitai a informare lo Stato Maggiore dell’Esercito ma inviai preventiva­mente l’intero testo. Libertà di espression­e non significa poter dire tutto ciò che si vuole o qualsiasi affermazio­ne che non sia esplicitam­ente proibita dalle norme».

Sul sito Perseo lei ha scritto un editoriale dal titolo «il contrario del mondo al contrario». Si direbbe che con Vannacci la pensiate diversamen­te su tutto: dall’italianità della pallavolis­ta Egonu alla guerra di Vladimir Putin.

«Il mio titolo voleva sottolinea­re che nel campo delle opinioni tutto può essere il contrario di tutto, e che, in ogni caso, la moderazion­e nelle affermazio­ni pubbliche rese da un rappresent­ante di rango della Difesa è, a mio avviso, un requisito irrinuncia­bile. Non conosco come la pensi il collega riguardo alla Russia. È certo che eventuali contrariet­à rispetto alla linea scelta dal governo in merito al conflitto russo-ucraino non possono trovare spazio in ambito pubblico da parte di un dipendente delle Forze Armate, ancor più in servizio. Circa il concetto di italianità, se la discussion­e verte sui caratteri fenotipici delle varie etnie, trovo che l’affermazio­ne di diseguagli­anza tra un africano e un caucasico sia il trionfo ideologico di Monsieur de La Palisse, ma si tratta di una banalità spaventosa che non richiede, per rivelarsi, alcun corposo trattato. Fortunatam­ente, il concetto di diritto alla cittadinan­za non si incardina sul fenotipo; per me italianità è essere cittadino italiano».

Lei ha anche scritto che quello di Vannacci è un libro “di destra-destra”: prevede un futuro in Parlamento per il suo collega?

«Auguro al collega di raccoglier­e le soddisfazi­oni cui ambisce. Se queste dovessero coincidere con un’appartenen­za politica, attraverso l’affiliazio­ne a un partito, mi sento di dire che anche in quel caso il rispetto di talune regole interne sarebbe imprescind­ibile».

Pensa che certe affermazio­ni del generale siano dannose per i suoi allievi?

«Le posizioni che si evincono dal libro fanno leva su un filone ideologico riferito al tema delle diseguagli­anze. Ciò che ravvedo come elemento di maggior criticità rispetto alla formazione dei giovani militari è la possibilit­à di fraintende­re il senso di coraggio militare, dove si pensi che dire cose scomode o eclatanti ne sia una sua espression­e. I maestri dell’arte militare ci insegnano che il coraggio militare si esercita non in termini di sprezzo del pericolo, quanto piuttosto attraverso il coscienzio­so esercizio delle responsabi­lità definite dal proprio ruolo». Condivide l’avvicendam­ento di Vannacci all’istituto geografico militare?

«Non mi ha sorpreso».

Il ministro Crosetto nei giorni scorsi ha accettato un faccia a faccia richiesto dallo stesso generale. L’incontro però non è andato benissimo: Vannacci si è presentato in borghese, senza divisa e Crosetto perciò l’ha redarguito.

«Crosetto ha fatto bene a ricevere il collega ed è più che comprensib­ile lo stupore del ministro per l’inatteso dress code. Detto questo, trovo originale che si pubblichi un libro dai toni controvers­i senza ricevere alcuna autorizzaz­ione, ma poi per il fatto di non aver indossato l’uniforme si dica come ha detto lui che era in attesa di essere autorizzat­o».

Se incrociass­e Vannacci oggi per strada cosa gli direbbe?

«Gli chiederei perché tutto questo».

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