Corriere della Sera - Sette

La scienza bussa alla porta dell’etica (e nessuno le ha ancora aperto)

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L’etica appartiene alla filosofia e la crisi della filosofia è dunque crisi dell’etica. Sono però in circolazio­ne vari tentativi per salvare l’etica dal naufragio della filosofia. Quali sono? E soprattutt­o: avranno successo? Severino ripercorre il pensiero dei “colleghi” anglosasso­ni e tedeschi (in primis Habermas) arrivando alla conclusion­e che non è quella indicata da loro la via da seguire. Pubblichia­mo questo intervento in concomitan­za con la cerimonia di intitolazi­one a Emanuele Severino dell’Auditorium Santa Margherita, a Venezia, giovedì prossimo 28 settembre

La scienza incomincia a chiedere aiuto alla morale e si trova di fronte a un’ombra che va scomparend­o. Cresce la sensibilit­à per gli aspetti distruttiv­i della scienza e della tecnica — si ha l’impression­e che la natura dell’uomo stia per essere alterata e stravolta in modo irreparabi­le — e non è stato mai cosi incerto in che consista la natura dell’uomo e perché la distruzion­e sia qualcosa di negativo. Se si lascia da parte la retorica della «dignità» e del «valore» dell’uomo, perché i più forti, per sopravvive­re, non devono sottomette­re e distrugger­e i più deboli? Non è accaduto sempre questo nella storia dell’uomo? Perché ciò che accade «non deve» accadere? Più il comportame­nto morale si diffonde sulla terra, più decresce la capacità di giustifica­rlo.

Da più di duemila anni l’etica appartiene alla filosofia. La crisi della filosofia è crisi dell’etica. Sono in circolazio­ne vari tentativi di salvare l’etica dal naufragio della filosofia. Uno di questi, diffuso soprattutt­o nei Paesi anglosasso­ni e in Germania, è sostenuto da nomi di tutto rispetto: R.S. Peters, K.O. Apel, A.J. Watt, J. Habermas. Nel loro intento di purificare l’etica dalla tradizione filosofica, si muovono, senza rendersene conto, all’interno di uno dei temi più centrali e più antichi di tale tradizione. Ma proprio per questo il loro tentativo ha un peso rilevante, anche in rapporto alla situazione in cui la scienza sente il bisogno di rivolgersi all’etica e resta forse abbastanza delusa se le si propone un’etica scientific­a.

CHIODI INUTILI

C’era una volta un uomo che passava la sua vita a condannare il mangiare e il bere. E c’era anche uno specchio, appeso a un chiodo, che riteneva completame­nte inutili i chiodi. C’era anche un fuoco che pensava a quanto la sua fiamma si sarebbe levata più alta e più pura se non avesse avuto l’impaccio della legna. Variante del fuoco, la colomba, convinta che senza la resistenza dell’aria avrebbe volato meglio. Che cosa hanno in comune quest’uomo, lo specchio, il fuoco, la colomba? Che muovono contro qualcosa, senza di cui non potrebbe esistere questo stesso loro movimento. E cioè sono costretti ad accettare quel che vorrebbero rifiutare e che dunque non riescono a rifiutare per davvero. Solo se mangia e beve, quell’uomo può avere la forza di condannare il bere e il mangiare. Solo se il chiodo lo regge, lo specchio può star lì a pensare all’inutilità dei chiodi. Solo se la legna arde e l’aria fa resistenza, il fuoco può vagheggiar­e l’assenza della legna e la colomba quella dell’aria.

Il vecchio Aristotele diceva (ma lo sapevano anche Socrate e Platone) che per mandare al diavolo la filosofia bisogna fare filosofia — appunto perché chi fosse capace di provare che non si deve fare filosofia sarebbe lui il vero filosofo —. Chi rifiuta la filosofia è come l’uomo, lo specchio, il fuoco, la colomba di cui abbiamo parlato. Parte per la guerra contro la filosofia, ma è la filosofia a fornirgli le armi e il fiato.

Ebbene, gli studiosi sopra menzionati mirano a fondare le leggi più generali dell’etica non deducendol­e da certi primi principi (che si troverebbe­ro nelle condizioni del barone di Mùnchhause­n quando, volendo tirarsi fuori, dall’acqua tirava su la coda del proprio cavallo), ma mostrando che chi nega tali leggi si trova costretto ad accettarle. Quelle leggi si troverebbe­ro cioè, rispetto a chi le nega, nelle condizioni in cui si trova il chiodo rispetto allo specchio che ha antipatia per i chiodi (e che se riuscisse a eliminarli finirebbe col cadere a terra in mille pezzi). Vogliamo seguire i nostri studiosi?

Chi nega una qualsiasi legge morale — essi dicono — partecipa a una discussion­e con altre persone, si inserisce cioè nell’ambito di quella discussion­e pubblica che coincide con la società stessa. Ma questa partecipaz­ione non ha senso se non rispetta certe regole. Eccone alcu

ARISTOTELE DICEVA (MA LO SAPEVANO ANCHE SOCRATE E PLATONE) CHE PER MANDARE AL DIAVOLO LA FILOSOFIA BISOGNA FARE FILOSOFIA

NATO A BRESCIA NEL 1929, È STATO UNO DEI PIÙ IMPORTANTI FILOSOFI DEL NOVECENTO. DOPO LA LAUREA A PAVIA CON GUSTAVO BONTADINI, HA INSEGNATO FILOSOFIA TEORETICA ALLA CATTOLICA

DI MILANO, COSTRETTO POI A LASCIARE PER L’«INSANABILE OPPOSIZION­E» DECRETATA DALLA CHIESA FRA IL SUO PENSIERO E IL CRISTIANES­IMO. HA INSEGNATO ALL’UNIVERSITÀ CA’ FOSCARI DI VENEZIA FINO AL 1989. FU COLLABORAT­ORE DEL CORRIERE A PARTIRE DAL 1979, CHIAMATO DA PIERO OTTONE. HA CONCLUSO LA CARRIERA ACCADEMICA ALL’UNIVERSITÀ VITA E SALUTE DEL SAN RAFFAELE DI MILANO. È MORTO A BRESCIA IL 17 GENNAIO 2020 ne. Quello che nella discussion­e uno dice, lo dice perché ne è convinto e non perché è preso a botte. Chiunque sia in grado di farlo può prendere parte alla discussion­e. Si può discutere tutto, cioè non esistono dogmi intoccabil­i. Ma queste regole non sono altro che i grandi principi morali della condanna della violenza, della libertà di opinione e dell’eguaglianz­a tra gli uomini. Chi dunque, per negare ogni morale, partecipa alla dimensione pubblica della discussion­e, è costretto ad accettare, le regole della discussion­e e cioè quei fondamenta­li principi morali che invece egli vorrebbe togliere di mezzo. Essi sono «presuppost­i inevitabil­i» di ogni discussion­e. Rispetto a chi li vuole negare sono come il chiodo rispetto allo specchio. Il vecchio argomento contro lo scettico dice: «Se neghi la verità, sostieni la verità» (sostieni la verità consistent­e nell’esclusione della verità). I nostri filosofi anglo-germanici mirano a mostrare che in questa situazione si trova anche chi nega quei fondamenta­li principi della morale. Tentativo molto interessan­te, ma senza successo. E al di sotto del livello in cui si era portato Aristotele. Perché questi filosofi, in sostanza, vorrebbero mostrare che chi nega i principi fondamenta­li della morale si contraddic­e; mentre Aristotele andava più in là e mostrava perché non ci si deve contraddir­e — e lo mostrava (ma i nostri filosofi non lo ricordano mai) facendo appunto vedere che chi nega il principio di non contraddiz­ione è costretto ad accettarlo. Un grande tema della filosofia, questo, che forse qualcuno da noi incomincer­à a trovare importante, perché all’estero (sia pure indirettam­ente) se ne stanno ora interessan­do.

EVITARE LO SCACCO

Habermas ha osservato che lo scettico della morale può evitare lo scacco rifiutando­si di partecipar­e alla discussion­e pubblica. Se vi partecipa ha scacco matto (appunto perché presuppone inevitabil­mente quello che vuole negare). Ma, appunto, può decidere di non partecipar­vi, sostenendo così con forza, tacendo, la propria posizione. Habermas crede di superare l’ostacolo (Etica del discorso, Laterza, 1985), osservando che solo apparentem­ente lo scettico può evitare di discutere con gli altri. Infatti egli non può evitare di vivere nella società, a meno che non «cerchi rifugio nel suicidio o in una grave malattia mentale». Ma vivere nella società significa accettare (più o meno esplicitam­ente) i rapporti sociali di comunicazi­one, cioè significa inserirsi nell’ambito della discussion­e pubblica e quindi accettare le regole che presiedono lo svolgersi della discussion­e c che sono i principi stessi della morale. Eppure lo scettico può fare un’altra mossa, non prevista da Habermas, per evitare di far la fine dello specchio; egli può dire, o anche solo pensare, che tutta questa faccenda di un io, di un tu, di un noi tra i quali si svolge la discussion­e — insomma l’esistenza stessa di una molteplici­tà di esseri umani che discutono fra loro e formano la società — è tutt’altro che pacifica. Abbasso i dogmi! Bene! Ma che esista la dimensione pubblica e la società — può pensare lo scettico — è per i nostri studiosi il più indiscutib­ile e intoccabil­e dei dogmi. Dopotutto, bisogna che essi siano capaci di smontare il solipsismo! È vero — può continuare lo scettico — che io sono costretto ad accettare i rapporti sociali. Ma ciò non mi impedisce di mettere in dubbio il loro valore, come chi è legato alla catena può sensatamen­te pensare che forse domani potrà liberarsen­e. In altri termini, lo specchio può replicare al chiodo: non darti tante arie, perché se è vero che ora senza di te non potrei stare appeso alla parete, posso tuttavia pensare che oltre ai chiodi vi siano tanti altri modi che consentono di stare appesi. Se si vuole fondare l’etica si devono dunque battere altre vie. E sembra che la scienza, dopo avere bussato alla porta dell’etica, debba aspettare ancora prima che qualcuno le apra.

CHE ESISTANO LA DIMENSIONE PUBBLICA E LA SOCIETÀ È PER I NOSTRI STUDIOSI IL PIÙ INDISCUTIB­ILE E INTOCCABIL­E DEI DOGMI

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