TENERE E COMMOSSE AUTOCELEBRAZIONI NOI, POVERE COSE TRA TV E SOCIAL
«Un abbraccio al bambino che sono stato», «al ragazzo che ero vorrei dire» – tanti famosi sui social, nei libri, cadono nella tentazione di esprimere tenerezza per quello che sono stati. Il bambino e il ragazzo ignaro della strada che avrebbe compiuto, del successo a cui sarebbe arrivato...
Questo compiacimento mascherato da commozione racconta non tanto il ricordo delle origini (magari umili), piuttosto una smisurata idea di sé al presente. L’intenzione onnipotente di commemorarsi, dove le appropriazioni indebite sono due: farlo in vita, farlo in prima persona (come scrivere da soli il proprio coccodrillo).
Vezzi questi derivati dalla televisione. I filmati dei momenti più belli di un personaggio – con il protagonista in studio che si commuove.
L’origine, forse, sono i filmati di Amici con la voce off di mamma e papà a raccontare il figlio dalla nascita. Ma se qui hanno un senso tutto vitale, di incoraggiamento nei confronti di chi è all’inizio tra paure e dubbi, altrove prendono significati differenti.
La televisione e i social realizzano così la mitologia de «la vita che ti scorre davanti agli occhi». La conseguenza di questa celebrazione anticipata è la desacralizzazione della morte.
Perciò, quando qualcuno muore davvero, siamo talmente abituati alla forma commemorativa che le distanze si azzerano, e ci sentiamo autorizzati a disquisire.
La responsabilità non è solo di chi critica, dietro c’è un sistema di immagini e parole che appropriandosi delle figurazioni della morte ha abbattuto la barriera. Esattamente come in principio i social oltrepassavano lo schermo televisivo mettendo tutti sullo stesso piano, tanto da permettere a chi era al di qua di interagire con “l’aldilà” in tempo reale, se si trattava di diretta tv. Non sono i singoli a aver infranto il tabù, bensì la comunicazione: pensiamo a Mike Bongiorno che a pochi giorni dalla morte ricompariva nei nuovi spot Infostrada insieme a Fiorello. Tutto ciò non crea illusione, sappiamo che quelle persone non ci sono più. Ma genera prossimità – e non religiosa. Possiamo insultare, recensire funerali. Demolire un personaggio il giorno stesso della dipartita. Disquisire con leggerezza su Twitter («I palloncini a unicorno al funerale, pietà», «Paccottiglia!!!”». «Vogliamo parlare di Bella Ciao?». «Povero Togliatti»).
Cancellato il tempo del lutto, salta la regola del silenzio.
E allora, sostituendo la parola morte a madre: la zia di Tom Sawyer, zia Polly, che definiva Huckleberry Finn: «una povera cosa senza madre» – ecco cosa siamo diventati: povere cose senza madre.
LA TENDENZA ALLA COMMEMORAZIONE IN VITA FA SÌ CHE SUI MORTI SI DISQUISISCA SUBITO. RECENSENDONE I FUNERALI...