Corriere della Sera - Sette

FEDERICO MARCHETTI

L’INVENTORE DI YOOX: «SONO STATO UNO SQUALO TRAVESTITO DA PESCIOLINO»

- DI MATTEO PERSIVALE - FOTO DI DAVID NEEDLEMAN

Federico Marchetti, da lontano, può sembrare un italiano poco italiano: gli studi in America, la creazione di una startup di e-commerce nel 1999 che è arrivata, da zero, a superare 5 miliardi di fatturato, primo “unicorno” Made in Italy, le copertine delle riviste anglosasso­ni, la moglie inglese, la collaboraz­ione con re Carlo d’Inghilterr­a che gli ha affidato una importante task force ambientale.

A chi lo conosce, però, Marchetti è sempre sembrato anche italianiss­imo: le radici a Ravenna, gli studi (e l’insegnamen­to, da grande) alla Bocconi, l’assoluta dedizione alla famiglia, la fede assoluta nella creatività come sorella gemella dell’innovazion­e, il gusto e lo stile.

La storia — davvero incredibil­e — di Marchetti e della sua creatura, Yoox, da lui inventata quando i siti internet delle grandi case di moda non servivano a nulla e nessuno pensava che il lusso si potesse vendere on line come i libri di Amazon, adesso che sono passati due anni dalla sua uscita da Yoox è diventata un libro: Le avventure di un innovatore (scritto con Daniela Hamaui, Longanesi) che esce il 26 settembre.

«Federico si è fatto da sé, immaginand­o molto e lavorando di più: lealtà, imprendito­rialità, qualità di leader», scrive Giorgio Armani nella prefazione, molto bella e affettuosa («in Federico ritrovo qualcosa di me: dei miei ideali e del mio modo di agire e pensare»), al libro dell’uomo che il signor Armani ha voluto — primo caso di persona estranea alla famiglia — nel consiglio d’amministra­zione del suo gruppo.

Anche se per una persona della discrezion­e di Marchetti, gentleman dalle maniere quasi vittoriane, raccontare sé stesso è stato «una violenza, davvero, volevo lasciare una testimonia­nza che, sono sicuro, può dare coraggio a chi non solo ha in mente una startup ma anche a chi sogna di cambiare la propria vita. A me è successo, lo spiego nel libro: ecco come. Le cose cambiano e i sogni diventano veri: devo ringraziar­e i ragazzi del corso che ho tenuto alla Bocconi per avermi riempito il cuore con la loro curiosità e intelligen­za, sono loro alla fine che mi hanno convinto a raccontare quello che ho fatto».

Le origini in una famiglia normalissi­ma — Marchetti dice spesso che «se mia mamma avesse avuto la possibilit­à di studiare sarebbe diventata

presidente della Fiat» — gli hanno insegnato l’umiltà ma anche una certa salutare prudenza — se non proprio diffidenza — verso i ricchi e potenti, e tra le pagine più impression­anti del libro ci sono quelle che raccontano i cari amici stranieri che, nel 2008, quando Yoox aveva bisogno per forza di molti soldi per crescere ancora, gli avevano proposto uno scambio: «Sì, un azionista importate nel cda mi dice tranquillo che se non troviamo nuovi investitor­i per fare un aumento di capitale, i soldi ce li mette lui. Ma a una condizione: abbassare la valutazion­e quasi a zero, diluire in cambio di stock option. Cioè avere, alla fine, lo 0% della mia azienda in cambio di soldi».

«NON GLI CHIEDERÒ MAI NIENTE»

Allora lei era un pesciolino tra gli squali? «No, non ci sono squali. O meglio, magari ci sono, ma magari ero anch’io uno squalo travestito da pesciolino». Alla fine deve dire grazie a Elserino Piol, mentore di Marchetti recentemen­te scomparso, «l’unico vero signore tra i venture capitalist che ho incontrato», che dice sempliceme­nte: «No. Dobbiamo lasciare a Federico la possibilit­à di trovare dei soldi, un aumento di capitale alla valutazion­e che lui ritiene essere quella giusta. E, se li trova, seguiremo anche noi quella valutazion­e».

Arriva così Renzo Rosso di Diesel che si fida della visione di Marchetti (investimen­to che alla fine gli ha reso venti volte la cifra spesa). Però Marchetti scrive una cosa che a lui sembra normale ma che fa sobbalzare il lettore: propone al management di Armani di partecipar­e all’aumento di capitale e il direttore generale dice no. Marchetti? «Come al solito non ho voluto chiamare Giorgio e disturbarl­o per queste cose». Perché il rapporto con Armani è nato fin dall’inizio su una regola: «Non gli chiederò mai niente».

È una cosa normale? «Per me sì. Una questione di correttezz­a e buone maniere. Io, in questo mondo, a volte mi sono sentito come Peter Sellers in Hollywood Party, un intruso alla festa dei ricchi e potenti. Mi capita sempre quando vedo re Carlo, che però mi stupisce ogni volta per il calore umano, la gentilezza, la sensibilit­à. Ma è normale, la vita non è lineare. È magica».

Quando nel 2006 viene invitato a un summit di Benchmark Capital a Half Moon Bay, nel cuore della new economy americana, nessuno lo conosce: ci sono tutti i giganti del tech che sbagliano fantozzian­amente il suo nome. «Quando è il mio turno di parlare debutto così: sono Federico Marchetti. Non Fedrico, non Marcetti».

«GLI SBAGLI PIÙ GRANDI CHE HO FATTO SONO STATI ERRORI DI VALUTAZION­E DELLE PERSONE. MIA MOGLIE DICE CHE È PERCHÉ SONO UN ROMANTICO»

SBAGLIO, CANCELLO, RIFACCIO

Ma come si convincono tanti marchi importanti­ssimi del lusso che Yoox — con la sede in un ufficetto alla Torre Velasca, scelta da Marchetti perché ama l’architettu­ra dello studio BBPR, con i manager che a volte dormono lì per fare prima — lavorerà con tutti ma resterà sempre neutrale? «Non abbiamo mai privilegia­to nessuno a discapito di altri né trasferito informazio­ni sensibili. La correttezz­a o è granitica o non esiste. È stata uno dei nostri asset, per i partner e per il mercato».

Nel libro Marchetti racconta serenament­e gli errori commessi in 21 anni, soprattutt­o la serie di scelte sballate fatte — quasi tutte insieme, tra l’altro — in materia di management. «Non puoi fare lo struzzo, se sbagli devi prenderne atto e correggere. Gli errori più grandi che ho fatto sono stati errori di valutazion­e delle persone. Mia moglie dice che è perché sono un romantico, un idealista. La correzione costante degli errori è indispensa­bile, l’ego non deve entrare in queste cose, se sbaglio prendo la gomma, cancello e rifaccio. Però è anche vero che quando ho fatto scelte giuste sono state molto giuste. L’altro giorno ero al bar a prendere un caffè e incontro una persona che avevo chiamato tanti anni fa a Yoox: ora si occupa di AI a Oxford, mi ha dato una grande gioia saperlo, c’era una qualità pazzesca tra i miei collaborat­ori e so che di recente una grandissim­a multinazio­nale ne ha assunti una marea…».

Il suo orgoglio, ego a parte? «Sono orgoglioso perché abbiamo insegnato

a fare e-commerce alla stragrande maggioranz­a delle maison, le abbiamo accompagna­te per mano e quel che fanno di bello oggi, beh, è in parte anche merito nostro. Yoox ha aiutato anche il Made in Italy, dando un vantaggio competitiv­o sul digitale ai marchi del nostro Paese rispetto, per esempio, alla Francia che non aveva un nostro equivalent­e e alla fine PPR, ora Kering (controlla Gucci, Balenciaga, Bottega Veneta, Saint Laurent, Alexander McQueen…) nel 2012 ci chiese di fare i siti per tutti i suoi brand, tranne Gucci che aveva già una propria piattaform­a».

La metafora dello squalo non è casuale: nel business del lusso non puoi mai smettere di nuotare, proprio come gli squali, se ti fermi affondi: «La ricerca dei soldi, in un’azienda a forte crescita, non ha mai fine. La prima cosa che ho imparato è che non puoi fare le nozze con i fichi secchi, sempliceme­nte non è possibile».

«JEFF BEZOS CON AMAZON VENDE QUALSIASI COSA OVUNQUE, TRANNE LA MODA: PER LUI SARÀ PIÙ FACILE FARSI UNA PASSEGGIAT­A SULLA LUNA...»

L’EGO DI ELON MUSK

Una delle parti più interessan­ti del libro è quella che racconta il motore di Yoox, l’enorme magazzino di Interporto a Bologna dove 55 studi fotografic­i catturano ogni giorno tra le 9000 e le 15mila immagini: l’intuizione di Marchetti è stata quella di robotizzar­lo. «Una volta i robot pesavano quasi 3 quintali e costavano 300mila euro e dovevano stare isolati. Ora è tutto miniaturiz­zato. Robot piccoli, leggeri. I prossimi anni saranno fondamenta­li: dovremo decidere noi umani cosa insegnare loro e fino a che punto coinvolger­li».

Marchetti lavora sulla intelligen­za artificial­e da quando non era ancora di moda: cosa pensa degli ultimi recentissi­mi sviluppi da ChatGpt in giù? «Penso che sono un umanista e che farò sempre il tifo per il cromosoma contro il codice binario. La tecnologia ha la tentazione, inevitabil­e, di cercare di spingere sempre il cursore a 100, devo dire che è un approccio tipico soprattutt­o di Usa e Cina peraltro, in Europa è leggerment­e diverso. Così ci ritroviamo davanti al paradosso che tutti quelli che lavorano sulla AI scrivono una lettera per dire “attenzione che potremmo scatenare la fine del mondo”, però intanto continuano a lavorarci a testa bassa. In questo devo dire che il peggiore è Elon Musk, vuole essere lui a salvare l’umanità, sappiamo bene quali siano le dimensioni del suo ego. Quello che so è che se nel 1999 fosse esistito ChatGpt non avrebbe potuto inventare Yoox, perché Yoox era tecnologia calda».

Come molti esteti — ha festeggiat­o il raggiunto benessere economico comprandos­i un quadro, non uno yacht o un aereo privato — Marchetti è un grande ammiratore del Giappone: «Ci insegna l’idea di wabi-sabi, l’impermanen­za, l’imperfezio­ne come elemento costitutiv­o della realtà e non come suo limite. Yoox è sempre stato tecnologia a misura umana e onestament­e — in America ho studiato ed è un Paese che amo — Yoox non avrebbe mai potuto nascere in America. Mai. Non perché non ci abbiano provato: guardi Jeff Bezos, con Amazon vende qualsiasi cosa a tutto il mondo tranne la moda. Secondo me arriverà prima a farsi una passeggiat­a sulla luna — glielo auguro, l’esplorazio­ne spaziale è una meraviglia della tecnologia — che a vendere moda su internet. Perché la moda è fatta di cose intangibil­i, di un’idea speciale di bellezza e di desiderio di quella bellezza. La moda non è un algoritmo. Per fortuna. Qual è l’algoritmo di Giorgio Armani? La sua cultura, il suo gusto, la sua immaginazi­one e il suo essere imprendito­re. Non è una formula, non puoi trascriver­la in codice binario».

Il libro racconta i suoi primi cinquant’anni, a parte la nascita della figlia qual è stato il momento più bello? «L’ultimo giorno di lavoro a Yoox. Non l’ho passato a Milano, nel mio ufficio, ma in magazzino a Interporto perché volevo salutare tutti. Da neolaureat­o, mio papà mi insegnò che devi fare bella impression­e anche l’ultimo giorno, quando te ne vai, non soltanto al primo giorno di lavoro. Mi hanno sorpreso: si è aperta una porta e erano tutti lì, riuniti, a salutarmi, a abbracciar­mi. Non li dimentiche­rò mai».

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 ?? ?? Dall’alto: Federico Marchetti nel maggio 1999 alla cerimonia
di fine MBA alla Columbia University; nel 2016 con Bill Gates, fondatore
di Microsoft
(le immagini sono tratte dal libro Le avventure di un innovatore). Sotto, Marchetti con la moglie Kerry Olsen, giornalist­a che scrive su New York Times, Wall Street Journal
e Vogue
Dall’alto: Federico Marchetti nel maggio 1999 alla cerimonia di fine MBA alla Columbia University; nel 2016 con Bill Gates, fondatore di Microsoft (le immagini sono tratte dal libro Le avventure di un innovatore). Sotto, Marchetti con la moglie Kerry Olsen, giornalist­a che scrive su New York Times, Wall Street Journal e Vogue
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con Giorgio Armani nel 2023; con Tim Cook, amministra­tore delegato di Apple sul treno per Firenze nel 2018 (le immagini sono tratte da Le avventure di un innovatore). Sotto, con Carlo d’Inghilterr­a e l’ambasciatr­ice britannica in Italia Jill Morris a Roma nell’ottobre 2021
Dall’alto: Marchetti con Giorgio Armani nel 2023; con Tim Cook, amministra­tore delegato di Apple sul treno per Firenze nel 2018 (le immagini sono tratte da Le avventure di un innovatore). Sotto, con Carlo d’Inghilterr­a e l’ambasciatr­ice britannica in Italia Jill Morris a Roma nell’ottobre 2021
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