«METTO IN SCENA IL PERCORSO CON IL MIO PSICOTERAPEUTA...»
Pierpaolo Spollon interpreta sé stesso al Teatro dal Verme di Milano Un monologo autoironico. Dall’infanzia alla doppia paternità
Per la prima volta Pierpaolo Spollon interpreta sé stesso a teatro. Dopo L’allieva, Doc, Che Dio ci aiuti, Blanca (dal 5 ottobre la seconda stagione), l’attore veneto porta in scena Quel che provo dir non so, dal 18 novembre al Teatro dal Verme di Milano. Dice: «Indago sulle emozioni che mi hanno scosso. Sfrutto il percorso che ho fatto con il mio psicoterapeuta per dire con ironia quello che ho capito di provare». Perché adesso?
«A Padova si è suicidata una ragazza di una famiglia vicina alla mia e sono rimasto colpito. Ho iniziato a leggere articoli, libri. Un saggio diceva che il 70% dei casi di depressione giovanile si presentano perché i ragazzi non sanno riconoscere le proprie emozioni. Non siamo abituati a fermarci, cercare degli strumenti per capire».
A lei è successo di perdersi?
«Durante la pandemia sono diventato padre, correvo da Roma a Padova, ma non riuscivo a mettere nel giusto cassettino le cose che stavo provando: un potpourri di emozioni positive mi ha mandato completamente in pappa».
Da quando è padre ha sensi di colpa?
«In un certo senso sì, ma con la mia coscienza faccio i conti di continuo per l’educazione che ho ricevuto. Quando ho dato il primo sculaccione a mio figlio mi sono chiesto: “Chissà, diventerà un violento da grande? Non rispetterà le donne?” E stiamo parlando di un sacrosanto sculaccione».
Che bambino era?
«Ho rovinato tutto dopo, ma da piccolo ero un cyborg! A tre anni disegnavo come
Michelangelo, ero educato, pacifico, super responsabile: alle elementari avevo già le chiavi di casa, entravo e uscivo da solo». Quando si è immaginato attore?
«Avrò avuto 5-6 anni, ero sul divano con mia madre a vedere L’ultimo dei Mohicani e ho iniziato a piangere a dirotto. Pensavo che se un film mi emozionava così, volevo farlo anche io. Mamma è stata brava». Brava?
«Non mi ha detto di non piangere, ma: “È giusto, goditi questo momento”. Piangevamo insieme. Da due genitori che hanno la fortuna di avere una certa libertà nell’esprimere le proprie emozioni molto probabilmente cresceranno dei figli in grado di gestire ciò che sentono. Nello spettacolo è come se parlassi un po’ a me stesso e a mamma».
Ora che ha rivelato di avere dei figli, pensa di esporli sui social?
«Ero combattuto se pubblicare o no un video dove si sente mio figlio piangere in sottofondo e io che a un certo punto dico: “Questo video è offerto da Durex, proteggetevi”. Il bambino non si vede ma il video non l’ho ancora messo. È un istinto naturale. Forse oggi c’è troppa leggerezza. Non sparo sentenze, mi sembra solo di percepire un po’ di faciloneria, non si pensa alle conseguenze. Ho visto una campagna pubblicitaria con due genitori che pubblicano le foto della loro bambina, vanno al cinema e in un video la vedono cresciuta mentre parla grazie all’intelligenza artificiale».
Non è inquietante?
«A me inquieta, io avrei la gioia di condividere i momenti passati con i miei figli. Sono dei teppisti che mi fanno morire dal ridere. Poi ho guardato questo spot e mi sono detto: “Va bene, ho fatto la cosa giusta, proteggili”»
Ma loro la riconoscono in tv?
«Sono ancora piccoli, quando mi guardano però gridano e avvisano tutti in casa: “C’è papà, c’è papà”. Non mi scambiano per Luca Argentero (ride di nuovo, ndr). Ogni tanto mi confondono per qualcun altro. Mi dicono: “Papà, sei in tv”. E io: “No amore quello là è Marco Bocci”».
«QUANDO ARRIVO IN CASA, I MEI FIGLI AVVISANO TUTTI: “C’È PAPÀ, C’È PAPÀ”. NON MI SCAMBIANO PER LUCA ARGENTERO!»