Corriere della Sera - Sette

Sì IL GLAMOUR SEMPRE ATTUALE DELLA LINGUA DI DANTE

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Nella prima sala del MUNDI, il Museo nazionale dell’italiano che si sta allestendo a Firenze, un grande fregio corre in alto lungo le pareti. Al centro c’è la parola sì, tutt’intorno le espression­i con cui quell’affermazio­ne è resa in molte altre lingue del mondo. Un omaggio a Dante, che per primo definì la nostra come la «lingua del sì». La nostra lingua poetica – spiegava nella Vita nuova – cominciò con «li primi che dissero in lingua di sì» e sarà la «gran bontade del volgare di sì» – profetizza­va nel Convivio – ad assicurare a questa lingua un grande futuro. Nel De vulgari eloquentia raccontava che Dio aveva punito la tracotanza con cui gli uomini avevano cercato di costruire la torre di Babele facendo in modo che non si capissero più tra di loro. L’unica lingua parlata fin dall’Eden si era così frammentat­a in tante lingue diverse che gli uomini portarono con sé ai quattro angoli del mondo.

Nella Divina commedia, in un’epoca in cui l’Italia politica ancora non esisteva, Dante definisce gli italiani come le «genti del bel paese là dove ’l sì suona». La lingua come essenziale punto di riferiment­o, e il suono di quella parola – la parola che serve a esprimere accordo e consenso – come base di una comune identità. Il «bel paese là dove ’l sì suona». La frase – celeberrim­a – oltre ad aver dato il nome a un noto formaggio, è stata parafrasat­a in vari momenti della nostra storia: un po’ come succede con i meme che oggi imperversa­no in rete. Negli anni Settanta dell’Ottocento, ad esempio, poco dopo il raggiungim­ento dell’unità politica, quando alcuni giornali di Roma – usando una forma di saluto che all’epoca era diffusa solo in Piemonte e nelle regioni del Nord – scrivevano che l’Italia era diventata «il bel paese dove il ciao suona». Poi, negli anni Sessanta del Novecento, quando Pier Paolo Pasolini, lo scrittore che riportò l’attenzione sul rapporto tra lingua nazionale e dialetti, chiamava il nostro il «Bel Paese dove il no suona». E ancora negli ultimi decenni del secolo scorso, quando qualcuno – denunciand­o l’invadenza delle parole inglesi nel nostro lessico – ha parlato del «Bel Paese dove l’ok suona». In questi giorni circola una pubblicità molto glamour (parola che – non va dimenticat­o – deriva dal latino grammatica) in cui si legge a tutta pagina: «What’s the most powerful word?». La risposta arriva in un’altra pagina, ed è proprio Sì: scelto, in questo caso, come nome di un profumo. Il «Bel Paese where the sì sounds», potremmo dire a questo punto. Ed è tutto «very bello», anzi: «open to meraviglia»!

NELLA DIVINA COMMEDIA GLI ITALIANI SONO LE «GENTI DEL BEL PAESE LÀ DOVE ’L SÌ SUONA»

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