Corriere della Sera - Sette

LE COSE CHE VORREMMO PER VOTARE UN’EUROPA MIGLIORE

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Tra il 6 e il 9 giugno, i 27 Paesi che insieme danno vita all’Unione sono chiamati a votare i propri rappresent­anti nel Parlamento europeo, l’unica assemblea transnazio­nale eletta direttamen­te al mondo. Sarà la decima volta, la prima senza la Gran Bretagna. La data è libera perché, anche in questo che in fondo è un dettaglio, si dovrebbe riflettere lo spirito comunitari­o: ciascuno Stato membro potrà decidere – «secondo le proprie tradizioni» – se chiamare cittadini e cittadine alle urne in un solo giorno o in più giorni, se l’appuntamen­to è soltanto per la domenica (regola tedesca) o mai di domenica. Dovremmo sentirlo come un passaggio decisivo, anche emozionant­e, perché abbiamo imparato sulla nostra pelle – e su quella dei nostri vicini democratic­i – che tutte le grandi prove hanno chances di essere affrontate con fiducia se ci muoviamo come un corpo unico, consapevol­e, solidale.

I meccanismi di bilancio e fiscali da riformare, la Difesa, il contenimen­to di migrazioni senza precedenti nella Storia, la competitiv­ità delle nostre industrie, le sfide aperte della green economy… Nessuno di questi dossier potrà trovare risposte sensate, anche a breve termine, nelle stanze chiuse del club delle nazioni. In una formazione ridotta e magari lacerata, verremmo travolti. Come succedereb­be a una squadra di calcio «in inferiorit­à numerica» ai Mondiali. Dovremmo quindi sentire la responsabi­lità di arrivare a giugno con un’idea di che cosa vorremmo per il nostro futuro, e soprattutt­o per quello dei nostri figli e nipoti, orientando­ci tra le proposte dei partiti e i profili dei candidati. Non sarà facile, non lo è mai stato, anche perché le liste vengono spesso composte per ricollocar­e nomi scalzati dalle Politiche o per calamitare voti facili attirati dai leader. Una volta seduti ai tavoli di Strasburgo o Bruxelles, però, nelle discussion­i si impone chi ha esperienza e competenza. E chi c’è, settimana dopo settimana.

Mancano otto, quasi nove mesi. Il tempo per una campagna, a sorpresa, fondata su visioni e progetti, meno gridata e fumosa, ci sarebbe. Eppure, come ha scritto il direttore del Corriere Luciano Fontana, sembra essere partita una giostra ormai ossidata. L’unica novità, negativa, è l’anticipo con cui ha cominciato a girare: l’alleanza di centrodest­ra procede per strappi interni e proclami di rottura esterna; l’opposizion­e, allo stesso modo, punta a rubarsi visibilità senza ragionare sul centrocamp­o.

Quello di cui l’Europa ha bisogno è una fase costituent­e, che garantisca efficacia nella prospettiv­a dell’allargamen­to a 30 (gli Stati in lista d’attesa sono otto) e quindi di un prevedibil­e acuirsi della complessit­à. Francia e Germania, secondo un copione antico se non vecchio, hanno presentato un proprio rapporto sulle riforme istituzion­ali. Dal voto a maggioranz­a qualificat­a (superando il nodo dell’unanimità, escluse questioni di politica estera e sicurezza) all’aumento del budget comunitari­o, fino alla previsione di un’Unione «a più velocità» con vantaggi/oneri a seconda del grado di integrazio­ne. Nel frattempo, le dispute muscolari di frontiera, a Ventimigli­a come al Brennero, esasperate e mal gestite, sono un arretramen­to che ci renderà tutti più deboli. E inadatti a reggere l’urto di cambiament­i epocali.

LA CAMPAGNA ELETTORALE È GIA PARTITA (MALE) MENTRE I NOSTRI VICINI PRESENTANO DOSSIER SULLE RIFORME

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