DENTI D’ACCIAIO, MOLLE COME KEN STARMER DIVIDE GLI INGLESI (MA SARÀ IL PROSSIMO PREMIER)
Giurista, 61 anni, ha ripreso in mano le redini del Labour, sfiancato dall’era del “rosso” Corbyn, e lo porterà alla guida del Paese. C’è chi lo accusa di essere un opportunista. Ma lui ha un’arma segreta: sa corteggiare i conservatori
Atante cose lo hanno paragonato, ma nessuno prima lo aveva accostato a Ken, il compagno di Barbie: eppure è proprio quello che ha fatto due settimane fa la ministra conservatrice Penny Mordaunt, che col linguaggio sboccato cui è adusa ha insinuato di fronte al Parlamento sbigottito che il leader laburista Keir Starmer è proprio come Ken, ossia «con zero palle».
Ma è davvero così? In realtà, Starmer in questi anni ha rivoltato il Labour come un guanto, rimodellandolo a sua immagine e facendone di nuovo un partito vincente: pochi ormai dubitano che l’autunno prossimo, dopo le elezioni, il leader laburista si insedierà a Downing Street al posto del premier Rishi Sunak.
Eppure Starmer, nel 2020, aveva ereditato un partito allo sbando, reduce da una sconfitta storica e preda dell’estremismo di Jeremy Corbyn: ma il nuovo leader ha mostrato denti d’acciaio e ha epurato tutta la vecchia guardia corbynista, finendo addirittura per espellere l’ex leader, accusato di anti-semitismo. Così Starmer si è circondato di blairiani e ha riposizionato il Labour al centro: anzi, si potrebbe dire addirittura al centro-destra, occupando quello spazio lasciato libero dai conservatori, sempre più schiacciati su posizioni di destra dura.
È stata una metamorfosi che ha procurato a Starmer l’accusa di trasformismo e opportunismo: lui infatti aveva conquistato la leadership del partito promettendo continuità con Corbyn e sposandone il programma di estrema sinistra, tranne poi gettare tutto alle ortiche.
In cosa crede dunque veramente il nuovo leader laburista e prossimo primo ministro britannico? Non è facile rispondere: e forse non lo sa nemmeno lui. Prendiamo l’Europa: durante la saga della Brexit, lui era un accanito avversario dell’uscita dall’Unione europea e sostenitore della necessità di un secondo referendum. Adesso, resosi conto che una posizione del genere gli farebbe perdere le elezioni, esclude categoricamente un ritorno non solo nella Ue, ma anche nel mercato unico e nell’unione doganale. Tranne poi, la settimana scorsa, andare a Parigi a incontrare Emmanuel Macron e dire che è pronto a rinegoziare i termini della Brexit.
Ma in realtà i voltafaccia non si contano. Starmer aveva promesso di impiegare 28 miliardi per finanziare l’economia “verde”, salvo poi mandare l’impegno in soffitta di fronte ai costi economici e sociali della transizione ecologica. Così come ha fatto dietrofront rispetto all’idea di autorizzare l’auto-identificazione di genere (un provvedimento che in Scozia è costato il posto alla premier Nicola Sturgeon).
Eppure un filo rosso c’è: in tutti questi casi, Starmer è all’in
seguimento di quell’elettorato popolare che aveva disertato i laburisti per i conservatori. Ed ecco dunque che il suo Labour sposa posizioni destrorse e “patriottiche”: anche sull’immigrazione, lui critica l’efficacia della linea durissima di Sunak, ma non la sostanza.
È una metamorfosi che appare premiante, visto che i laburisti sono dati in vantaggio sui conservatori fino a 20 punti percentuali. Ma la verità è che il successo di Starmer è dovuto più alla inettitudine dei suoi avversari che ai suoi meriti: i conservatori, dopo i disastri di Boris Johnson e Liz Truss, sono screditati agli occhi dell’elettorato e Sunak non è in grado di invertire la rotta. In fondo Starmer, di suo, non ispira granché: nei focus group l’aggettivo cui viene di solito associato è «noioso», la sua retorica legalistica (da ex magistrato qual è) e la sua voce un po’ nasale provocano più che altro attacchi di sonnolenza.
Insomma, Starmer non è il nuovo Tony Blair: l’artefice del New Labour era una figura vagamente messianica, portatore di una visione di rinnovamento, mentre il suo successore si propone più che altro di gestire l’esistente senza fare troppi pasticci. E la Gran Bretagna degli Anni 90 – la Cool Britannia – era un Paese dinamico spinto dalla crescita economica e intellettuale: mentre quella attuale è una nazione un po’ ammaccata che cerca quanto meno evitare il declino.
Dunque Starmer non propone grandi palingenesi: anche perché non ci sarebbe modo di finanziarle. Le casse del Regno sono esauste, il debito pubblico è al massimo storico e non ci sono margini di manovra per lanciarsi in esperimenti riformisti: Starmer e la sua Cancelliera-ombra, Rachel Reeves, si danno invece un gran da fare per rassicurare i mercati e fare continua professione di probità di bilancio.
Starmer alla fine ricondurrà il Labour al potere: ma il risultato sarà un grande sbadiglio.