PERCHÉ SEMPRE MENO GIOVANI SI SPOSANO (FORSE PERCHÉ NON SERVE A NIENTE)
Il matrimonio, come è regolato oggi, «non produce effetti rilevanti», scrive il giurista Carlo Rimini. Solo se riuscirà a essere un «contenitore di tutele» potrà recuperare terreno. Due cose da fare subito
L’Italia è uno degli Stati al mondo in cui ci si sposa di meno. Perché? Cosa c’è nel matrimonio che non attira più i giovani italiani? Questa diminuita propensione alle nozze è un problema, oppure semplicemente un «segno dei tempi»? Sono le domande da cui Carlo Rimini, professore di Diritto privato in Statale a Milano e di Diritto di famiglia a Pavia, prende le mosse per il suo Perché non ti sposi? Dialogando e divagando su famiglia e matrimonio con una ragazza su un treno (Pacini Editore), un libro in cui l’autore dà una risposta a ciascuna domanda pescando dalla propria “cassetta degli attrezzi” di avvocato e giurista. Se i giovani non si sposano più, è la tesi di Rimini, è perché il matrimonio in Italia — all’estero le cose vanno in modo decisamente diverso — «non produce effetti giuridici particolarmente rilevanti e quelli che produce non paiono affatto interessanti». L’amore, insomma, non c’entra: qui la questione è molto più pratica, la penuria di «sì», laici o religiosi, è la conseguenza di una perdita di senso dell’istituto matrimoniale, per nulla attrattivo nei confronti delle coppie che hanno un legame sentimentale. «A che serve sposarsi? Non cambia niente», dice infatti la ragazza del treno a cui fa riferimento il sottotitolo del libro. «Anche le mie figlie, di 23 e 26 anni, non ci pensano proprio», ammette Rimini, «sposarsi non è nell’orizzonte dei loro progetti».
Il matrimonio sparirà, oppure cambierà? Come vede il futuro?
«Il matrimonio dovrebbe essere un istituto giuridico che tutela il coniuge più debole, quello che dedica le proprie energie e risorse alla famiglia — come il diritto societario tutela il socio e l’impresa comune, come il diritto del lavoro tutela il lavoratore —, ma in Italia non funziona ed è questa la vera, profonda ragione per cui il matrimonio — se la legge non cambierà — è destinato a essere una scelta di pochi. Ci sarebbe da fare una riflessione vera, non ideologica: il fatto che il nostro Diritto di famiglia sia il più vecchio fra quelli occidentali dovrebbe farci riflettere. Il matrimonio del futuro probabilmente sarà molto diverso da quello del passato — quando era un istituto indispensabile per vivere come persona “perbene” nella società, mentre oggi tutto questo è vecchissimo, viene da un’altra era geologica più che da un’altra storia — ma ciononostante credo che potrà continuare a esistere solo se saprà diventare un vero contenitore di tutele. È questo il punto. Purtroppo i ragazzi oggi hanno l’idea di bastare a sé stessi, di tutelarsi da soli, ma è un’idea sbagliata. La strada da percorrere è modernizzare il Diritto di famiglia per farlo essere, come è negli altri ordinamenti occidentali, un reale e concreto strumento di protezione. Reciproca». Quando arriverà questa riforma del Diritto di famiglia capace di ridare ossigeno alla scelta di sposarsi?
«Temo di essere un po’ pessimista, perché storicamente in Italia tutte le riforme del Diritto di famiglia sono nate da contrapposizioni ideologiche molto violente e quindi non c’è un modo razionale di pensare a questi problemi. No, nessuno si dedicherà a questa cosa con l’attenzione che merita, anche perché non sono temi che la gente percepisce come interessanti. Servirebbe che il legislatore se ne occupasse senza avere un mente in ritorno immediato...». Dipendesse da lei, quale sono le prime tre cose che cambierebbe?
«Ne basterebbero due. La prima è una riforma radicale del regime patrimoniale della famiglia, con