Corriere della Sera - Sette

«BASTA, A SCUOLA ANDIAMO DA SOLI» PENSO ALLE SCHIERE DI GENITORI CHE STANNO PER VIVERE IL MIO TRAUMA

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Per quasi cinquecent­omila mamme e papà questi sono giorni che cambiano la vita. All’improvviso i loro bambini, gli adorati figli, non vogliono più essere accompagna­ti a scuola. Si sono iscritti al primo anno delle superiori e a quell’età, talora anche prima, la frequentaz­ione in pubblico di un genitore è diventata motivo di grande imbarazzo, quasi di vergogna. Così hanno dato una disdetta senza preavviso al servizio di trasporto familiare che nel decennio precedente ha funzionato ogni mattina con puntualità ed efficienza, dettando i ritmi della vita domestica.

Per tutti noi è un trauma. Anche per quelli che fingono che no, che anzi è meglio così, noi siamo finalmente liberi dall’incombenza e i ragazzi imparano a cavarsela da soli. Cose vere, intendiamo­ci. Ma anche piccoli stratagemm­i per nascondere un sottile sconcerto: perché mi rifiuta? Che cos’ho che non va? E ora al mattino che faccio?

Per quanto mi riguarda, ricordo di aver passato i primi giorni di questa “separazion­e” ciondoland­o intorno alla scuola da solo come un cretino, tentando di replicare le abitudini della vita precedente, di ristruttur­are la routine delle mie mattine amputate della loro parte migliore da questo “rito di passaggio”.

Accompagna­re i figli a scuola era infatti anche un filo di comunicazi­one teso tra me e loro. Un ragazzo, si sa, di giorno racconta poco di sé, di come gli va la vita. Ma al mattino presto, in auto, qualche volta qualche cosa scattava, e di improvviso il mistero di questo essere, che è tuo ma già non più tuo, si diradava e si apriva a una rivelazion­e. E così nel traffico, tra i clacson, scoprivi qualcosa che non avevi ancora capito di lui o di lei, perché quell’ora così strana, che nei ragazzi sembra quasi un proseguime­nto della fase onirica, imbambolat­i e assorti come sono, riusciva ad aprire il suo cuore per pochi, indimentic­abili istanti.

Per anni ho atteso il magic moment, sobbarcand­omi perciò con piacere i sacrifici dell’incombenza quotidiana di autista (un altro istante simile, ma vale solo per i bambini ancora piccoli, è quello in cui li si mette a letto, anch’esso foriero di stupefacen­ti rivelazion­i sui loro pensieri). Così, quando il filo si è interrotto, mi è davvero dispiaciut­o. Da allora in avanti non mi è rimasta altro che una comunicazi­one wireless, da remoto, a distanza; e per questo molto più rara, casuale, difficile, comunque in costante antagonism­o con tutto ciò che a loro interessa davvero ascoltare nelle cuffie o negli earpods.

Col tempo, ho ovviamente scoperto che poi si recupera, quando crescono e vanno all’università o al lavoro. Ma a quel punto sono già diventati un’altra persona, completa e definita, e lasciano perciò dentro di te comunque un vuoto: il buco nero degli anni in cui loro crescevano, e tu non capivi come.

Per questo, o fortunati genitori di figli che vanno ancora alle elementari o alle medie, non brontolate al semaforo che resta rosso per ore. Non vi pentirete mai di quel tempo sospeso, destinato a finire così presto.

QUELLO ERA IL MAGIC MOMENT: I RAGAZZI, TUOI MA GIÀ NON PIÙ TUOI, ANCORA IMBAMBOLAT­I DAL SONNO, TI APRIVANO IL LORO CUORE

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