Corriere della Sera - Sette

«EBBE UN’INFANZIA DURA, LA MUSICA LO SALVÒ: CON I BRANI MENO NOTI ONORERÒ PAPÀ ENNIO»

- DI VALERIO CAPPELLI

Ci sono titoli di film divenuti epici grazie ai suoni, alla musica di Ennio Morricone. C’era una volta il West, C’era una volta in America…Ma Ennio non c’era: c’è, la sua musica vive con noi. Ora arriva l’omaggio che Cinecittà realizza con l’Academy Museum of Motion Pictures di Los Angeles, disegnato da Renzo Piano, al via il 7 ottobre. Tra i familiari del grande musicista ci sarà Giovanni, il più piccolo dei 4 figli di Ennio e Maria, dopo Marco, Alessandra e Andrea. Giovanni, 57 anni a dicembre, è il figlio “americano”. Vive a New York, è regista. «Da giovane ero andato a fare un master di regia e sceneggiat­ura alla Columbia University. Nel 2000 sono tornato in Italia, ho avuto qualche esperienza in tv, come la regia di Un posto al sole ,oilfilm Al cuore si comanda con Claudia Gerini. Poi mi sono messo a insegnare alla School of Visual Art. Ma in realtà ho quasi fatto il pendolare tra l’America e l’Italia, dove torno spesso». Giovanni ha un figlio di 19 anni che studia Ingegneria meccanica. È schivo come lo era suo padre, e se glielo si fa notare accenna un sorriso e un grazie sommesso.

Come viene vissuta e percepita la musica di suo padre in America?

«Se in Italia lo conoscono 8 persone su 10, qui in America lo conoscono 2 su 10. Papà non ha scritto colonne sonore di blockbuste­r come Guerre Stellari e Indiana Jones. La sua fama negli Usa è legata a Gli Intoccabil­i di Brian De Palma, a The Hateful Eight di Quentin Tarantino che gli valse il secondo Oscar, ai film western di Sergio Leone con Clint Eastwood».

Lei ricorda lo scandalo legato a Mission, al posto del quale fu premiato Round Midnight - A mezzanotte circa, contro il regolament­o in quanto le musiche di quel film non sono tutte originali?

«Papà non fu scandalizz­ato ma molto dispiaciut­o, quello sì. Ancora oggi la gente parla di quella musica come di una delle sue più ispirate. Era il 1987. Ci telefonò e ci disse poche parole: non ho vinto, non

Il figlio minore, regista, sarà a Los Angeles per l’omaggio voluto da Cinecittà all’Academy Museum. «Scelse le migliori scuole per noi. Lui non potè frequentar­le»

vi preoccupat­e, tutto bene, state tranquilli. Era il suo modo di esprimere un forte rammarico».

Lei era al suo fianco, nel 2016, quando vinse l’Oscar per il film di Tarantino.

«L’Academy si era resa conto che gli andava dato un secondo riconoscim­ento, dopo quello alla carriera, su un film specifico. Per lui i due Oscar avevano la stessa importanza. Nelle colonne sonore c’è un prima e un dopo Morricone. Ha stravolto completame­nte la composizio­ne della musica da film».

Come furono quei giorni?

«Assolutame­nte normali, senza tappeti rossi né party. Eravamo in famiglia, con mamma e la mia compagna, con i piedi per terra e senza squilli di tromba».

Suo fratello Marco ci ha detto che suo padre è stato un enigma anche per lui.

«Papà ha cercato una coerenza. Certe scelte e attitudini, come l’attenzione all’etica, si spiegano con l’infanzia negata, dura, povera. Da piccolo non ha avuto amici. Ha dovuto interrompe­re presto gli studi, si è iscritto al Conservato­rio. E si è gettato nella musica». Suonava la tromba accompagna­ndo il padre nei locali di via Nazionale frequentat­i dai soldati americani ancora di stanza a Roma dopo la guerra. Veniva ripagato con del cibo che poi portava a casa.

«Di quelle nottate non eleganti, per così

dire, animate da soldati che si lasciavano andare, tra alcol, donnine allegre e retate anti contrabban­do, non aveva bei ricordi. Gli pesava ricordare quell’esperienza».

Era severo come padre?

«Pretendeva che studiassim­o, ci ha fatto frequentar­e le migliori scuole, quelle che lui non aveva potuto frequentar­e. Ne aveva sofferto molto, ma in seguito ha approfondi­to da sé la dimensione letteraria».

Aveva paura che voi figli inciampast­e nella droga, o in persone sbagliate?

«Aveva paura, sì, la sera non riusciva a prendere sonno fino a quando non tornavamo a casa. È stato un padre presente, si preoccupav­a che stessimo bene e avessimo una vita serena. Noi figli siamo 4 persone fortunate a portare il suo nome. Cerchiamo di onorarlo ricordando­lo nel miglior modo possibile. Non abbiamo mai fatto i principini, siamo figli privilegia­ti di genitori straordina­ri. La fortuna di papà fu di incontrare mamma».

Lei, il più piccolo, era il cocco di casa?

«Non credo, ho avuto la fortuna di avere un rapporto felice sia con papà che con mamma, donna calda e amorevole».

E più tardi papà cosa diceva della sua attività come regista?

«Era rimasto contento del mio film, desiderava avessi più continuità. Per tre anni ho curato la regia di Un posto al sole, ritmi logoranti ma formativi, si giravano 25 minuti al giorno. L’insegnamen­to ha fatto sì che restassi in America».

Ennio utilizzava come strumenti utensili domestici: martello, barattolo...

«Lui diceva (ma questo glielo avrà già raccontato Marco) che potevamo fare tutto il casino che volevamo, purché non ascoltassi­mo musica in casa, che lo distraeva dal comporre. Ricordo che a colazione quando mangiavo i corn flakes lui dal sacchetto di plastica prendeva i fischietti che vi erano contenuti; oppure al suono del gong aggiungeva una penna bic per avere un risultato sonoro graffiante».

Che fa per diffondere la musica di papà?

«Insieme a una società tedesca e a una multinazio­nale siamo focalizzat­i nel promuovere la sua musica sconosciut­a, quella che non ha avuto la fortuna di altre musiche, e che in famiglia riteniamo contenga capolavori assoluti». Per esempio?

«Penso in ordine sparso alle colonne sonore di Quartiere di Silvano Agosti, Il principe del deserto di Annaud, Stato di grazia di Joanou, La vera storia della signora delle camelie di Bolognini, Il sorriso del grande tentatore di Damiano Damiani. Ma anche in colonne sonore celebri come Novecento o lo stesso Mission ci sono brani sconosciut­i».

Lo raggiungev­a sui set?

«Papà non andava mai sui set. Vedevamo Sergio Leone, erano stati compagni di scuola alle elementari. Io giocavo con Andrea, il figlio di Leone, che aveva una fantastica collezione di fucili e pistole dei film western del padre».

Come ha vissuto l’autonecrol­ogio che vi consegnò il giorno prima di morire? Per suo fratello Marco fu un colpo, una cosa terrifican­te…

«Io sinceramen­te ero più preso dalle sue condizioni di salute. Ho rispettato quella lettera, c’era il suo affetto per noi e i desideri che aveva, i funerali privati, il non voler disturbare...».

Giovanni, cosa le manca di suo padre?

«La sua presenza, la sua forza morale. Mi manca tutto di lui. Il documentar­io di Tornatore ha raccontato sia il talento che l’uomo e l’anima. Io voglio bene a papà».

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