CHARLES AZNAVOUR
L’ESULE DA 300 MILIONI DI DISCHI CHE SI RIFECE IL NASO PER COLPA DI PIAF
Il cantante da 300 milioni di dischi nel mondo non raggiungeva il metro e sessanta ma aveva una voce intensa e tenorile e poteva cantare in nove lingue, dialetto napoletano compreso. Charles Aznavour, cognome abbreviato alla francese dall’originale armeno Aznavourian, è stato la matrice per tutti i cantautori di successo che sono venuti dopo di lui. Scoperto dalla grande Edith Piaf che lo prese sotto la sua ala a patto che rifacesse il naso, e lui si convinse per qualcosa «che fosse un po’ più alla francese», anche se lei quando lo vide rinnovato esclamò, capricciosamente: «Forse era meglio prima». E a guardar le foto aveva ragione, in origine era più assertivo.
Non sono mai stato giovane, diceva riferendosi alla sua vita da profugo di precoce talento, figlio di due immigrati armeni sopravvissuti al genocidio che lavoravano nella ristorazione – sulle tracce del nonno che era stato cuoco del governatore d’Armenia – e che frequentavano a Parigi una comunità artistica dove avevano inserito il piccolo Charles che a 9 anni si esibiva cantando: «Ballavamo e cantavamo tutte le sere, lo so che pare brutto dire questo, ma è stata la mia giovinezza ed è stata così». Poi, finita la guerra, negli Anni 50 era già star dell’Olympia. A inizio Sessanta i suoi primi successi, La mamma, Com’è triste Venezia, La Bohème; la sua capacità di cantare in tante lingue gli regala la fama sui palcoscenici di tutto il mondo. Ha composto più di mille canzoni, riproposte nella loro versione dai grandi cantanti internazionali (Liza Minnelli, Céline Dion), e da quelli italiani, ha collaborato alle versioni delle sue canzoni, anche in Italia prima con Giorgio Calabrese, poi con altri, ha partecipato al Festival di Sanremo, fuori gara, nel 1981 (Poi Passa) e nel 1989 con Momenti sì, momenti no. Si è autoritratto nel celeberrimo brano L’Istrione: «Io sono un istrione, ma la genialità è nata insieme a me. Nel teatro che vuoi dove un altro cadrà, io mi surclasserò». E ha sdoganato parecchi temi come il triangolo con E io tra di voi, e in grande anticipo l’omosessualità con Comme ils disent nel 1972, nella Francia di 50 anni fa.
Da profugo armeno a cantante simbolo di un impegno per i grandi temi e per il suo Paese, convinto ma non aggressivo. Perfettamente al centro fra due culture: «Io sono armeno al cento per cento e francese al cento per cento. Ho due culture, quella del cuore e dell’anima è armena, quella della scuola e del sapere è francese. Non mischio mai le due, ognuna resta un cento per cento». Mescolato come il caffèlatte, diceva. «Era profondamente
francese e allo stesso tempo non ha rinunciato alla sua parte armena e questo non dava fastidio a nessuno. Incarnava bene il popolo francese nella ricchezza delle sue origini. Ha rappresentato la Francia legata alle migrazioni e alle tragedie della Storia» ha detto a Stefano Montefiori del Corriere Aurélie Filippetti, ministra francese della Cultura dal 2012 al 2014, di origini italiane che a Lione ha inaugurato un centro per la memoria armena.
È stato Ambasciatore all’Onu per l’Armenia, gentile, determinato nelle sue battaglie, mai sopra le righe: «Io dei turchi non ho mai parlato male, li rispetto... spero che un giorno loro rispettino noi alla stessa maniera». Bisogna stare attenti a criticare, diceva: «Io tendo a non farlo, anche perché ho sofferto moltissimo delle critiche altrui. Scrivevano che ero basso, brutto, senza voce. Ci ho messo tre anni a smettere di sudare in scena, per l’ansia» ha raccontato a Paola Jacobbi.
Anticipatore anche qui, nel rispetto a 360 gradi: «Io sono cristiano, ma mi sento bene con tutte le persone di buona volontà di qualunque religione, se sono persone buone, lo sono a prescindere dal fatto che siano cattoliche, ortodosse, musulmane, ebraiche... e quando ne incontro, facciamo sempre lunghissime conversazioni.
È così che dovremmo tutti vivere, questa sarebbe l’intelligenza perfetta. Quando ero bambino ero un bravo chierichetto non alla chiesa armena ma a quella cattolica, perché era la più vicina a casa» ha raccontato a Lucia Bellaspiga dell’Avvenire. E quando nel 2016 Papa Francesco definì «genocidio» quanto avvenne nella sua terra all’inizio del Novecento, Aznavour gli scrisse una lunga lettera per ringraziarlo del suo coraggio. Ha continuato fino all’ultimo in scena come da bambino. Si è esibito a Osaka 19 settembre del 2018, voleva cantare fino a 100 anni, e si preparava per Bruxelles il 26 ottobre, ma è morto il primo ottobre di quell’anno.
NAOMI WATTS, “TESTIMONIAL” DELLA MENOPAUSA
28 SETTEMBRE 1968 SHOREHAM
Naomi Watts, attrice inglese cresciuta in Australia (Mulholland Drive, Diana, The Impossible), della nidiata di Nicole Kidman, è entrata in menopausa a 36 anni, in largo anticipo sulla media. «Avevo sbalzi d’umore, sudorazione notturna ed emicrania… Sentivo di stare andando fuori controllo. E pochissime informazioni, non se ne parlava». Da allora ha rotto il tabù e gira il mondo per parlarne, appunto, collaborando con l’Associazione Menopause Mandate. Non c’è niente da vergognarsi. E molto da informare.
27 SETTEMBRE 1976 ROMA
FRANCESCO TOTTI, IL FEDELISSIMO (QUASI)
L’idolo della Roma alla sua squadra è rimasto fedele per tutta la vita, molto più che alle donne. Con la moglie Ilary sembrava unito da matrimonio solidale che invece si è frantumato con immani difficoltà legali per sistemare un patrimonio di affari molto
intricati. Divisi anche su Instragram, dove si combattono con segnali di amore odio, si sono ricomposti per un giorno a distanza ravvicinata allo stadio a vedere il figlio Cristian, campione in erba
nella partita Primavera Roma-Frosinone. Ma niente saluti.