L’EPIDEMIA DI PESTE SUINA È DIFFICILE DA FERMARE NOI CI SALVIAMO, GLI ANIMALI NO
L’epidemia di peste suina africana, che ha portato gli allevamenti di suini in tv, non è da prendere sottogamba, benché non sia un virus trasmissibile all’uomo. Su questo non ci sono dubbi: colpisce (per fortuna) soltanto suini ed affini, cioè cinghiali e facoceri (suini africani che hanno ispirato il personaggio di Pumba nel film il Re Leone).
La peste suina africana era, fino a qualche tempo fa, una malattia considerata esotica, presente appunto in Africa e in Sud America, in Europa solo in alcune zone come la Sardegna (regione nella quale è stata recentemente eradicata dopo anni di sforzi). Nell’ultimo decennio, la malattia è esplosa coinvolgendo milioni di animali in Cina ed in altri Paesi asiatici, e attraverso la Russia è arrivata alle repubbliche baltiche e da lì è iniziata a circolare più attivamente nelle popolazioni di cinghiali nord europei, determinando nel 2020 in Germania una serie di focolai nei suini domestici, oggetto di pesanti abbattimenti, insieme a centinaia di migliaia di cinghiali.
In Italia, la peste suina africana è arrivata presumibilmente con un “panino” infetto oppure attraverso branchi di cinghiali in movimento. Sì, proprio un “panino” è stato forse il primum movens dell’epidemia: uno scarto alimentare contenente carne di maiale infetta che è andato a finire nell’immondizia o buttato in strada e da lì in bocca ai cinghiali. La peste è arrivata in vari distretti urbani e selvatici nel 2022, a Roma, in Liguria e in Piemonte. Purtroppo non si è fermata. La circolazione continua dell’infezione nei cinghiali ha provocato l’infezione di suini in allevamenti intensivi in provincia di Pavia e l’abbattimento di oltre 30mila capi.
Il problema vero è che la peste suina africana è causata da un virus maledetto che provoca una malattia emorragica con grandi sofferenze per gli animali e si annida in tutto il corpo del suino, rendendo i prodotti di origine suina un rischio per la perpetuazione dell’infezione. Inoltre anche i mangimi, le deiezioni, le lettiere: tutti i materiali entrati a contatto con i suidi infetti sono veicolo potente di infezione e pertanto devono essere decontaminati e distrutti .
Il nocciolo della questione è semplice: questa è una malattia causata da un virus che resiste alla salatura ed alla stagionatura. La sua resistenza nell’ambiente e a molte procedure di sanificazione standard fa sì che una zona infetta sia difficile da decontaminare e per questo può rimanere fonte continua di contagi aggiuntivi. Ma gli allevamenti di suini sono l’ultimo anello della catena, il più vulnerabile, quello che rischia moltissimo. Se la peste suina africana non si elimina dal territorio a vocazione suinicola, verranno bloccate le esportazioni dei nostri prodotti a base di suino (prosciutto, salame, salsicce, altre specialità), perché nessun Paese estero vuole correre il rischio di dover fare i conti con questa malattia economicamente devastante. Insomma, è un’infezione partita da lontano, che, attraverso il combinato disposto degli scarti alimentari, della sovrappopolazione di cinghiali e della circolazione virale a Est, si è fatta strada fino ad uno dei fiori all’occhiello della nostra produzione agroalimentare, e che adesso potrebbe creare danni economici milionari oltre che morte e sofferenza di molti animali. Il mondo agroalimentare è connesso con l’ambiente nel quale si trova a causa degli animali selvatici. I meccanismi della globalizzazione hanno poi permesso a questo virus di fare il suo mestiere: circolare indisturbato, nonostante il suo potenziale esplosivo.
UN’INFEZIONE PARTITA DA LONTANO SI È FATTA STRADA FINO A NOI. PROVOCA SOFFERENZA E MORTE NEGLI ALLEVAMENTI. E MINACCIA L’ECONOMIA
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