NON ADDOMESTICATE GLI SCRITTORI IMMAGINATE DI SPEDIRE FRANZ KAFKA SU UN PALCO...
C’è la sopravvivenza in gioco, a ogni libro, ese a qualcuno pare enfatico è perché di letteratura sa poco. Basta leggere diari o lettere di scrittori, per capirlo.
Forse si dà alla letteratura un peso inferiore a quello che invoca. Altrimenti non si chiederebbe agli scrittori di essere comunicativi e mondani e adattabili e più resistenti di un atleta, per viaggiare senza sosta, salire ogni sera su un palco a offrire il meglio di sé, partire all’alba dopo aver cenato a mezzanotte con piatti tipici e tipicamente indigesti, essere impeccabili, sorridere, abbozzare, annuire, ringraziare sempre e comunque, nascondere, nascondere, nascondere ogni debolezza.
Immaginate di mandare in giro Franz Kafka, Marguerite Duras, Elsa Morante, Thomas Bernhard, Cesare Pavese. Di mandare in giro uno che aveva paura «delle cose più grandi come delle più piccole, paura, convulsa paura di pronunciare una parola», come scrisse a Milena. Una che dava appuntamento a un giornalista e poi non gli apriva, che definiva la maternità un crimine e riteneva che «solo i pazzi scrivono completamente». Una cui Garboli disse: «Per stare in pace con te, bisogna sbranarsi e lasciarsi sbranare». Uno che considerava morire «di sicuro meglio che vivere». O uno destinato a uccidersi. Metteteli in un mezzo di trasporto qualunque, poi su un palco. Chiedete loro di essere sani, salvi, di essere normali – se la normalità sapete cosa sia.
Penso all’unica volta in cui Joyce e Proust si incontrarono a Parigi. Uno arrivò tardi e ubriaco, poco dopo russava. L’altro arrivò ancora più tardi e con la consueta aria malaticcia. Pare che la sola parola scambiata fra loro sia stata no. Sul taxi del ritorno, il primo aprì il finestrino e accese una sigaretta, rischiando di ammazzare il secondo, gravemente asmatico.
Se la letteratura è diventata irrilevante è anche perché irrilevanti si vogliono gli scrittori: affabili, addomesticati, innocui. Ma che c’entra, obietterà qualcuno, i contemporanei non hanno un’unghia di Pavese, figuriamoci di Proust. Gli italiani, poi.
Bisogna saperlo: nessuno scrive sperando di essere mediocre. Ed è a quel rischio che tuttavia si espone – accorgersi di esserlo. Serve coraggio per sacrificare la vita a qualcosa che implica non solo il rischio di fallire, ma anche di sentirsi ridicoli. No che non è normale chi lo fa. È assurdo pretendere che lo sia.
La letteratura è il luogo in cui viene detto ciò che di solito la gente non dice: perché è inopportuno, o spaventoso, perché rischierebbe di esser giudicata. La letteratura dà voce all’illecito, all’inconcepibile – o non è. Gli scrittori scendono all’inferno al posto degli altri esseri umani, e trovano una forma per raccontarlo.
SE LA LETTERATURA È DIVENTATA IRRILEVANTE, È ANCHE PERCHÉ IRRILEVANTI (AFFABILI E INNOCUI) SI VOGLIONO GLI SCRITTORI