«IO, ROMAN POLANSKI E LA CARBONARA DALLA CUCINA AL SET»
he emozione ricevere il primo copione della mia vita direttamente dalle sue mani. Eravamo a casa di Roman (Polanski, ndr), io e Brigitta Notz, l’amica di una vita. Durante la stesura della sceneggiatura Roman veniva a casa di Brigitta, protagonista della dolce vita di Gstaad, suo marito è stato testimone di nozze di Gunther Sachs e Brigitte Bardot. Le feste più belle con l’Aga Khan, Audrey Hepburn, Valentino, Julio Mario Santo Domingo, i Romanoff, i Savoia, sono spalmate in 25 album di foto, scrigni in pelle rossa dal profilo dorato, divisi per anno. Sono la memoria storica di un jet set di cui si è perso traccia. È partita da lì l’idea di Roman di usare la materia prima in loco visto che in molte foto c’ero anche io. E di mettere in atto uno sberleffo all’Alta Società. Lui sì che se lo può permettere. Lo chalet di Roman in boiserie è defilato dal centro di Gstaad, direi che riflette un po’ il suo carattere: sobrio, essenziale, di uno che vuole vivere lontano dal clamore e dal glamour.
Leggo, anzi leggiamo insieme, il mio coach è stato proprio lui: il maestro mi ha insegnato le pause,
Cuna battuta me la faceva ripetere anche 10 volte (e così è stato anche sul set). Il copione era in inglese, me lo faceva ripetere anche in italiano, lui lo mastica benissimo. A un certo punto glielo devo dire: «Mi sa che devo rinunciare, perchè non ho il seno rifatto»… sotto la giacca c’è solo una seconda. Aggiungo: «Entrerebbe solo in una flûte di champagne». Lui sorride di traverso: «Non importa, ci penserà la costumista a crearti l’asimmetria di un seno più grande dell’altro». Come da copione, io sono Alice, che rincorro il più famoso dei chirurghi estetici per un ritocchino. Roman si è ispirato a Ivo Pitanguy, che nel film si chiama Doctor Lima.
Spesso le serate con Roman e pochissimi amici finivano con una spaghettata, lui adora la mia pasta alla carbonara. Chiamavo Roselina Salemi per un controllo ingredienti (burro o olio? Cipolla o aglio?). L’occhio attento di Roman accompagnava ogni mio movimento: troppa poco acqua per la pasta, mi faceva notare. «Siamo in montagna e bolle prima», rispondevo d’un lampo. «Ma l’acqua serve a sciogliere l’amido», ribatteva il maestro (ma lui detesta essere chiamato cosi) che alla fine ha sempre ragione.
Una sera a cena un ospite gli chiede: «Hai visto C’era una volta a Hollywood?» (il film di Tarantino rilegge alla sua maniera l’eccidio della moglie di Polanski, la bellissima Sharon Tate, incinta all’ottavo mese del loro bambino, ndr). Sarei voluta sprofondare dall’imbarazzo, Roman invece ha risposto con garbo: «No, non l’ho visto». Cambiando discorso. Sul set, e fuori dal set, è la persona più mite che io abbia mai conosciuto. Un perfezionista, esige il massimo. Anche da sé stesso quando (come faceva Hitchcook) si dirige. Nel film The Palace fa l’ubriaco ed è un attore formidabile. Io meno. 27 volte ha fatto ripetere la camminata attraverso la porta girevole dell’hotel a me e Sydne Rome, avvolte in bellissime pellicce vintage di Fendi. Attento al dettaglio, il ricciolo sul mio orecchino doveva cadere in un certo modo. Ciack si gira e si rigira ancora. Un’emozione anche per Sydne ritrovare Roman che l’aveva diretta 50 anni fa nel film Che? con Marcello Mastroianni.
Io e Roman ci conosciamo da un po’: i nostri figli, Elvis e Kamalei, hanno frequentato insieme il collegio svizzero Le Rosey. Nel 1985 studiavo alla Sorbonne, con Roman ci siamo sfiorati qualche volta al mitico 78 di Champs d’Elysee, siccome abitavo in rue de Ponthieu, ero praticamente di casa pure da Regine. Lo era anche Roman. Non mi ha mai corteggiato, non mi ha mai chiesto il numero di telefono. Peccato. Glielo avrei dato volentieri.
Si conoscono da quasi quarant’anni. Nello chalet di Gstaad sobrio ed essenziale è nata una collaborazione artistica