NEL FASHION, COME NELLA CULTURA, ESISTONO SOLO RIVOLUZIONI A METÀ
Chiamo campo uno spazio di gioco, un campo di relazioni oggettive tra individui o istituzioni che competono per la stessa posta in gioco. Gli attori dominanti in questo campo particolare che è il mondo dell’alta moda sono coloro che detengono il maggior potere di costituire oggetti come rari attraverso il procedimento della “griffe”; sono coloro la cui griffe è più preziosa. In un campo – ed è la legge generale dei campi – i detentori della posizione dominante, coloro che possiedono più capitale specifico, si oppongono in molti modi ai nuovi entranti (utilizzo di proposito questa metafora presa in prestito dall’economia), ai nuovi arrivati, ai ritardatari, ai parvenu che non possiedono molto capitale specifico. I vecchi, coloro che sono già nel campo, possiedono strategie di conservazione che mirano a trarre profitto da un capitale progressivamente accumulato. I nuovi entranti hanno strategie di sovversione orientate a un accumulo di capitale specifico che presuppone un rovesciamento più o meno radicale della tavola dei valori, una ridefinizione più o meno rivoluzionaria dei principi di produzione e apprezzamento dei prodotti e, allo stesso tempo, una svalutazione del capitale detenuto dai dominanti. Chi avesse assistito ad un dibattito televisivo tra Balmain e Scherrer avrebbe capito subito, anche solo dalla loro dizione, chi stava a “destra” e chi a “sinistra” (nello spazio relativamente autonomo del campo) (...). Balmain usava frasi lunghissime, piuttosto pompose, difendeva la qualità francese, la creazione, ecc.; Scherrer parlava come un leader del maggio ‘68, cioè non terminava le frasi, metteva puntini di sospensione ovunque, ecc. Inoltre, ho annotato gli aggettivi più frequentemente associati ai diversi stilisti nella stampa femminile. Da una parte troviamo «lussuoso, esclusivo, prestigioso, tradizionale, raffinato, selezionato, equilibrato, durevole». Dall’altra «super-chic, kitsch, spiritoso, simpatico, divertente, radioso, libero, entusiasta, strutturato, funzionale». A partire dalle posizioni che i diversi agenti o istituzioni occupano nella struttura del campo – che, in questo caso, corrispondono piuttosto strettamente alla loro anzianità – possiamo prevedere, o in ogni caso comprendere, le loro prese di posizione estetiche così come si esprimono negli aggettivi utilizzati per descrivere i loro prodotti o in qualsiasi altro indicatore: più andiamo dal polo dominante al polo dominato, più, nelle collezioni, ci sono pantaloni; minori sono le prove d’abito; c’è più moquette grigia, i raffinati monogrammi sono sostituiti da commesse in minigonna e in alluminio; più ci si muove dalla rive droite alla rive gauche.
Contro le strategie di sovversione delle avanguardie, i detentori della legittimità, cioè gli occupanti delle posizioni dominanti, manterranno sempre il discorso vago e pomposo dell’ineffabile «va da sé»: come i dominanti nel campo delle relazioni di classe, hanno strategie conservatrici, difensive, che possono rimanere silenziose, tacite, poiché hanno soltanto da essere ciò che sono per essere ciò che devono essere. Al contrario, i couturier della rive gauche hanno strategie che mirano a rovesciare i principi stessi del gioco, ma in nome del gioco, dello spirito del gioco: le loro strategie di ritorno alle origini consistono nell’opporre ai dominanti i princìpi stessi in nome dei quali i secondi giustificano il loro dominio. Queste lotte tra detentori e pretendenti, gli sfidanti che, come nella boxe, sono condannati a “fare il gioco”, a correre dei rischi, sono alla base dei cambiamenti di cui il campo dell’alta moda è teatro.
Ma la condizione per entrare nel campo è il riconoscimento della posta in gioco e, assieme, il riconoscimento dei limiti che non devono essere oltrepassati, pena l’esclusione dal gioco. Ne consegue che dalla lotta interna possono nascere solo rivoluzioni parziali, capaci di distruggere la gerarchia ma non il gioco stesso. Chi vuole fare una rivoluzione nel cinema o in pittura dice: «Questo non è vero cinema» o «Questa non è vera pittura». Lancia anatemi, ma in nome di una definizione più pura e autentica di ciò in nome del quale i dominanti dominano.
La lotta fra chi ha il potere (anche estetico) e chi vorrebbe averlo può portare alla distruzione della gerarchia, ma mai al superamento del gioco stesso. Lo afferma, in questo scritto, il grande sociologo francese