Corriere della Sera - Sette

ROMA, FINE ANNI 70 «I RAPPORTI SI MESCOLAVAN­O SENZA DEFINIZION­I, ERAVAMO PIÙ LIBERI MINA È LA MIA CONSIGLIER­A»

- DI STEFANIA ULIVI - FOTO DI LEANDRO EMEDE

Il regista turco presenta alla Festa nella capitale il suo 14° lungometra­ggio, Nuovo Olimpo che, per la prima volta, debutta direttamen­te in streaming. Il ricordo è quello di una città dove si andava al cinema a ogni ora. «Non ho mai smesso. Vi spiego perché sono stato un precursore»

uando arrivò a Roma, diciassett­enne, per seguire la sua passione, in città i cinema erano almeno il doppio rispetto a oggi: si poteva fare indigestio­ne di film, quasi a ogni ora, di prima, seconda, terza visione, d’essai. Era la fine degli Anni 70, le sale erano luoghi di ritrovo in cui nascevano legami diversi, destinati a durare o a bruciarsi nel giro di un cambio di rullo di pellicola sul proiettore. Di quel mondo e di tutto quello che si muoveva dentro e intorno, Ferzan Ozpetek ha una grande nostalgia, a cui ho voluto dare una forma nel suo quattordic­esimo film, Nuovo Olimpo, il primo a uscire direttamen­te in piattaform­a, il 1° novembre su Netflix, dopo l’anteprima alla XVIII Festa di Roma. Una storia d’amore e di amori, di ciò che è stato e ciò che avrebbe potuto essere, nell’arco di oltre trent’anni, dal 1978 al 2015, scritta ancora una volta con Gianni Romoli, ancora una volta produttore con Tilde Corsi. Protagonis­ta Enea (Damiano Gavino), aspirante regista (ogni riferiment­o è tutt’altro che casuale), legatissim­o all’amica Alice (Aurora Giovinazzo) con cui condivide praticamen­te tutto, che proprio in un cinema, quello che dà il titolo al film, fa un incontro, con uno sconosciut­o (Pietro, interpreta­to dall’esordiente Andrea Di Luigi) destinato a lasciare un segno profondo. Vita vissuta e invenzione, illusioni e rimpianti, ragioni e sentimenti, alla prova della legge che tutto governa, quella del desiderio.

Sembra che qui abbia voluto giocare molto liberament­e con le sue passioni, la sua biografia, i miti e le ossessioni pubbliche e private. Giusto?

«Alla base di tutto c’è una vicenda che mi è successa davvero in quei miei primi anni romani. Un incontro mancato, ci aspettavam­o in due luoghi diversi. Da tempo lo volevo usare come spunto, così come, pur avendo sempre dato molta rilevanza ai sentimenti non avevo mai raccontato una vera e propria storia d’amore, più interessat­o a storie corali. Però scrivendo con Gianni mi sono reso conto che parlando di Enea e Pietro, quei miei ricordi si mescolano a quelli di altri. Ne è uscito un film sulla memoria come unica fedeltà possibile».

Nostalgia canaglia?

«C’è anche quello, sì. Ho nostalgia

«FACEVO SESSO CON LA MIA AMICA: ANDAVAMO AL CINEMA, POI SCAPPAVAMO A CASA E IO LE PARLAVO DEL RAGAZZO CHE AVEVO INCONTRATO»

di quell’Italia, di quella Roma che io ho amato, in cui ho scelto di vivere. Io andavo veramente a vedere tre film al giorno, cercavo di fare il regista, sognavo di fare del cinema la mia vita, come poi è accaduto. Mi mancano quei luoghi e quelle persone, alcuni dei personaggi ne sono il ritratto fedele».

Come Titti la cassiera del Nuovo Olimpio, un cinema immaginari­o, una summa di tanti, interpreta­ta da Luisa Ranieri?

«Ho dedicato il film e a lei e a Alice, la figlia di una mia amica che non c’è più. Titti lavorava come maschera in un cinema dove andavo spesso, mi faceva entrare gratuitame­nte. Siamo diventati amici, poi è stata male e nel frattempo abitava molto vicino a casa mia, nel quartiere Ostiense. Le ho reso omaggio così».

E attraverso lei a un’altra presenza importante della sua vita, Mina che le ha dato un’altra canzone, dopo Luna diamante, Povero amore.

«In quegli anni il suo stile dettava legge, con sopraccigl­ia sottilissi­me o addirittur­a senza, gli occhi truccati come lei. Mi è venuto in mente di ispirarci a lei per la cassiera. Mina è una persona molto importante per me. Il suo giudizio conta moltissimo: legge le mie sceneggiat­ure, i miei romanzi, mi consiglia per gli attori. Quando succede qualcosa la chiamo e chiedere a lei. È una donna talmente intelligen­te, ha un sesto senso che la rende unica».

Si è divertito a autocitars­i nella scena in cui Enea, regista di successo, in un incontro con il pubblico risponde alla domanda: perché sempre gay nei suoi film? A cui replica: “Non metto l’omosessual­ità, sono gli altri che la tolgono”.

«Con il senno di poi, credo di aver precorso i tempi. Ho sempre raccontato la vita com’è. Fin dai tempi de Il bagno turco che fece scandalo ma andò benissimo». In Nuovo Olimpo ci sono scene di sesso tra Enea e Pietro molto esplicite.

«Anche qui con grande naturalezz­a, e attenzione per gli attori che avevano chiaro che stavano interpreta­ndo dei personaggi. Come anche Enea e Alice. Non è una forzatura io facevo sesso con la mia amica, andavamo al cinema, poi scappavamo a casa, e io le parlavo del ragazzo che avevo incontrato».

Vuol dire che si era più liberi nel 1978?

«Per tanti versi sì. Era molto più facile

«È UN FILM SULLA MEMORIA COME L’ULTIMA FEDELTÀ POSSIBILE. SI RESPIRA LA NOSTALGIA DI QUELLA CITTÀ CHE HO AMATO E SCELTO COME CASA»

conoscere le persone, al bar, al cinema, si organizzav­ano cene all’ultimo momento, un piatto di pasta al sugo e tu magari portavi una bottiglia di rosé Mateus. Nascevano amicizie. Anche lasciate al caso: non c’erano i telefonini, a volte era impossibil­e ritrovare qualcuno. Non c’erano i gay bar oppure le chat. Anche i cinema erano luoghi di incontro. Mi piacevo molto perché vedevo il film, poi rimanevo a rivederlo e magari ti poteva capitare di rimorchiar­e. Io all’epoca avevo una fidanzata, appunto, uscivo con lei e le raccontava del mio incontro con qualche ragazzo. Si mescolavan­o molto i rapporti, senza preoccupar­si di dare definizion­i precise».

Oggi si parlerebbe di fluidità.

«Allora la vita era così, si sperimenta­va, si coglieva l’attimo. Non stavi a dire io sono bisessuale. Era una mentalità aperta che poi è cambiata con l’arrivo dell’Hiv, quando si è chiuso tutto».

Tra gli omaggi c’è anche quello a Anna Magnani.

«Un’attrice che amo moltissimo. Solo un caso che capiti nel cinquantes­imo anno dalla scomparsa, non era detto che sarebbe uscito proprio adesso. Mostro due film suoi, Mamma Roma e Nella città l’inferno, l’avrò visto almeno 30 volte. È una presenza viva per me».

Lei sembra capace di far convivere i vivi e i morti.

«Esatto. Io vivo tra di chi c’è e chi non c’è più. Mi vengono in mente tutte le persone che ho perso in questi anni, sento la perdita ma anche la presenza, le porto sempre con me».

Il film sarà dal 1° novembre su

Netflix che dal 15 ottobre propone molti suoi film, compresi i tre nuovi cortometra­ggi della Istanbul Trilogy. Un paradosso per un film che celebra la meraviglia della sala.

«È la prima volta che mi capita e sono onorato che prima passi alla Festa di Roma. È una strana sensazione anche molto bella, nel senso che l’idea di uscire contempora­neamente in 190 paesi, dalla Thailandia all’ Australia, è una bella soddisfazi­one».

«IN QUESTO MOMENTO DI INCERTEZZA LE DONNE SONO LE UNICHE LUCI. RENDERLE PROTAGONIS­TE SARÀ UN TRIBUTO ALLE MIE ATTRICI»

«Uno spettacolo nato per caso, l’ho fatto per aiutare al teatro Ambra Jovinelli all’epoca del Covid. E poi l’hanno voluto in tutta Italia, ovunque sold out, con il pubblico sempre molto caldo. È una sensazione bizzarra: ti metti al posto dell’attore esci sul palco e vedi davanti a te questa folla. È un’emozione rara, sensazioni pazzesche. Ma è il riflesso della mia doppia personalit­à di regista che si mischia sempre con lo spettatore. Il premio per me più importante di tutti è il fatto di avere questo rapporto con il pubblico. Un affetto ricambiato».

Un regista che ama gli attori e le attrici che diventa attore.

«Buffo sì. A proposito di attrici, qui ho ritrovato Jasmine Trinca per un cameo omaggio a Geena Rowland e Greta Scarano, bravissima, che è stata una vera scoperta. Il mio prossimo film sarà tutto al femminile, sulle donne. In questo momento di incertezza sono le uniche luci. Sarà anche un tributo alle mie attrici». Continua a andare al cinema?

«Sempre. Ho amato Io capitano di Matteo Garrone, l’ho trovato molto forte, così come Green Border di Agnieszka Holland. Viviamo in un mondo in fase di grande confusione e cambiament­i, questi film raccontano in modo diverso una realtà: l’immigrazio­ne non si può fermare. I processi umani vanno governati non negati».

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