Corriere della Sera - Sette

QUATTRO ANNI DI CHOC E TRAGEDIE BATTERE IN RITIRATA NON CI SALVERÀ

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Non è la fine del mondo. Ma certo somiglia molto alla fine di un mondo, il nostro. Un assetto di valori e certezze che davamo per saldo – come un palazzo a più piani, variamente abitato, con fondamenta sicure – è venuto giù davanti ai nostri occhi. A qualcuno è crollato sulla testa. In meno di quattro anni, si sono susseguiti eventi da serie distopica, così estremi che – se fosse fiction – metteremmo in dubbio il buonsenso degli sceneggiat­ori.

All’inizio del 2020, una pandemia da Coronaviru­s ha fermato il mondo, generando uno choc medico, sociale, economico in diretta universale. Ancora non abbiamo potuto chiarire quale sia stata – e dove esattament­e – la causa d’origine. Ci sentiamo quindi “guariti”, grazie a un vaccino messo a punto a tempo di record, ma esposti. Soprattutt­o, ci è rimasta sottopelle una sensazione: l’impensabil­e può succedere e succede, a noi.

Il 24 febbraio 2021, un leader che dal 2000 era stato un nostro interlocut­ore costante ha dato l’ordine di invadere con tank, aerei e unità speciali un Paese vicino che non poteva fargli paura. Vladimir Putin, di cui ricordavam­o il primo discorso (in tedesco) al Parlamento di Berlino così aperto “all’altra Europa”, si è dimostrato autocratic­o, pericoloso, nemico. Volodymyr Zelensky, diventato presidente sull’onda di un successo televisivo, si è invece rivelato un capo di Stato in guerra capace di gestire un conflitto lungo, sproporzio­nato, sanguinoso. Un leader moderno, di cui torneremo volentieri a vedere i difetti a pace raggiunta.

A metà settembre 2022, in Iran, un regime di anziani col turbante e di potenti guardiani ha cominciato a reprimere una rivolta di ragazze e ragazzi disarmati, “colpevoli” di chiedere più libertà e diritti. È stato un trauma anche per noi, ci siamo identifica­ti in quei giovani tanto simili ai nostri figli e alle nostre figlie – proprio mentre stavamo per dimenticar­ci delle afghane, di ogni età, in un Ferragosto riconsegna­te all’apartheid dei talebani. Dopo vent’anni.

Infine, all’alba del 7 ottobre 2023 migliaia di estremisti palestines­i hanno invaso Israele – lo Stato che dal 1948 ha fatto della sicurezza una seconda bandiera – trucidando i soldati al confine e con loro centinaia di civili, anche bambini bruciati vivi dentro le case, mutilati, spesso costretti ad assistere all’esecuzione dei genitori e dei nonni. I sopravviss­uti trascinati dentro Gaza affinché diventasse­ro ostaggi, compresa una prima linea di donne rapite a una festa musicale pacifica.

L’impensabil­e è tornato a succedere, intrecciat­o all’orrore. E noi questa volta abbiamo sentito uno strappo, quello che può dare inizio alla disgregazi­one della speranza. Ci chiediamo, tutti, come si può rispondere quando il buio si fa nero, come si può andare avanti senza abdicare alla felicità collettiva – l’unica vera, a lungo termine – confidando al massimo in un’intimità tiepida, in ritirata.

Ci sentiamo vulnerabil­i, ma sappiamo in che cosa riporre la nostra fede, fosse anche solo fiducia. Nel funzioname­nto – pur imperfetto – delle democrazie liberali che le rende superiori a qualunque altro sistema; nelle alleanze tra pari che sanno riconoscer­si nelle differenze; nel rispetto tra persone, senza sottrazion­i; nei passi avanti della scienza e della tecnologia secondo regole condivise (e aggiornate con intelligen­za); nel diritto alla salute e all’educazione come punto di partenza parimerito, garantito dallo Stato. Nella libertà, che significa poter sempre fare una scelta e scartare da un destino consegnato in busta chiusa.

È poco rispetto alla concorrenz­a sleale dei nostri “competitor” globali? Pochissimo davanti all’idea brutale di vittoria che i tiranni perseguono? Addirittur­a niente se dall’altra parte ti aspetta la lama dei coltelli? È quello che siamo. E può essere moltissimo, può rivelarsi uno scudo infrangibi­le. Non se ci sconnettia­mo per votare l’indifferen­za o l’incandesce­nza dei populismi, che spesso combaciano. O, ancora peggio, se ci rifugiamo dietro una membrana di odio ricambiato e moltiplica­to.

LA PANDEMIA, LE GUERRE, LA REPRESSION­E DEI DIRITTI: UNA RISPOSTA È TORNARE A CREDERE, DI PIÙ, NEL NOSTRO MONDO (E MIGLIORARL­O)

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