Corriere della Sera - Sette

DUE POPOLI, DUE STATI UNA VECCHIA STRADA ATTRAVERSO LE MACERIE

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Dal 7 ottobre, giorno dell’assalto terrorista di Hamas oltre i confini dello Stato ebraico, siamo stati trascinati da una piena di immagini sconvolgen­ti che da una parte ci hanno scosso e dall’altra – a un certo punto, presto, forse proprio perché superavano ogni immaginazi­one – sembrano averci anestetizz­ati. L’empatia per le vittime, tutte, è scivolata sotto il tappeto di un ring internazio­nale che si è conquistat­o le platee televisive e social, le vecchie piazze delle città e quelle dei campus universita­ri dove si formano le nuove generazion­i. Ha scritto Paolo Mieli: «L’atto originario dell’attuale conflitto, gli oltre mille abitanti di Israele sgozzati, bruciati vivi e in parte rapiti, quell’atto è pressoché scomparso dall’universo della comunicazi­one. Ha dovuto cedere il passo al ‘genocidio’ cui ha alluso il segretario dell’Onu», Antonio Guterres, riconducen­do la responsabi­lità dei massacri anche «a 56 anni di soffocante occupazion­e».

Forse per questo – per questa saturazion­e degli sguardi verso Gaza, per questo continuo superarsi di grida d’odio – uno dei filmati che sono invece “rimasti” è quello che l’esercito israeliano ha ricavato dall’abitacolo di un’auto e mostrato alla stampa estera. Non c’è audio, si vede la strada che corre, oltre il parabrezza. È mattina, quel 7 ottobre. Il vetro comincia a creparsi dal basso, proprio davanti a chi sta alla guida, non ne scorgeremo mai il volto. Sono visibili invece alcuni uomini armati di mitra, vestiti di nero, ai lati dell’asfalto: sono i loro proiettili ad aver raggiunto il veicolo. Il movimento della macchina al rallentato­re, che sbanda e si schianta, restituisc­e la traiettori­a della morte sopraggiun­ta in silenzio. Ammutolita e in pezzi, è finita la normalità di una giornata come tante altre, di vite che non erano la nostra ma potrebbero esserlo.

È stato Emmanuel Macron a indicare un riflesso argenteo nell’oscurità: in questa tragedia, il «silver lining» potrebbe essere la risposta internazio­nale. Si tratta, ha detto il presidente francese, «di ispirarci all’esperienza della Coalizione contro lo Stato islamico»: di vedere «quali aspetti siano replicabil­i contro altre minacce terroristi­che in Medio Oriente». Significa tagliar fuori Hamas da ogni scenario futuro – in quello diplomatic­o, del resto, mai ha voluto entrare – lasciando il gruppo integralis­ta nell’angolo dei fuorilegge, dei ricercati, che non possono avere voce né interlocut­ori. Significa nello stesso tempo ridare vigore «al diritto legittimo all’autodeterm­inazione del popolo palestines­e» e «alla sua dignità», come ha twittato poco dopo lo staff del presidente americano Biden, confidando in una leadership a Ramallah rimotivata dal dolore e nel dolore.

Il percorso dei due Stati, quello ebraico e quello palestines­e, sparito dalle strette mappe locali e dalle reti smagliate della diplomazia, torna – i mediatori ne sono convinti – a essere una chance concreta della Storia. L’unica in grado di tracciare una direzione che non punti soltanto a rimuovere le macerie dell’orrore in attesa di altre scosse, ma a chiudere il ciclo della violenza. L’unica che potrebbe custodire la memoria di centinaia, migliaia di bambini caduti in queste settimane. E magari inaugurare un incrocio inedito di accordi, se non di alleanze, votato a trattenere dalla stessa parte quei protagonis­ti regionali e internazio­nali che condividon­o l’interesse essenziale della pace. Di fronte all’asse dei tiranni e dei massacrato­ri.

PER DIFENDERE ISRAELE, MACRON RILANCIA IL MODELLO ANTI ISIS. E, SENZA HAMAS, TORNA SUL TAVOLO UN’IPOTESI CHE ERA SPARITA

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