QUEI CAMPI DI LAVORO IN CANADA DOVE TUTTO È TOSSICO: DALL’ARIA AI COLLEGHI MASCHI
Nel 2005, Kate Beaton aveva 21 anni, una laurea con cui non riusciva a trovare un buon impiego e l’impellente bisogno di ripagare i debiti studenteschi. I lavori più redditizi, nel suo Canada, erano tutti tra Alberta e Saskatchewan, dove si trovano le oil sands, le sabbie bituminose da cui si può estrarre il greggio. E così, ci è andata. Ha passato due anni nei “campi”, gli impianti dove si estrae e si raffina il bitume. Oggi Beaton è un’affermata fumettista e a quei due anni ha dedicato il graphic novel Ducks (Bao Publishing), che traccia un ritratto spietato di un posto di lavoro dove tutto è tossico, dall’aria, piena di polveri, alla mascolinità di molti colleghi, convinti di poter infliggere alle donne — una minoranza tra i dipendenti — molestie di ogni tipo. Beaton stessa, nei campi, è stata stuprata due volte. Se è rimasta, è perché sentiva di non avere alternative. «Alcuni miei amici accettano stage non retribuiti per entrare nel settore che hanno scelto», spiega alla sorella nel fumetto, «ma noi non siamo loro».
Ancora oggi, quello delle sabbie bituminose è un affare sporco, ma redditizio. Il loro impatto sull’ambiente è tragico, quello sulla salute pubblica preoccupante. Ma il settore petrolifero vale il 5% del PIL canadese (dati 2021) e le oil sands danno lavoro a circa 138 mila persone nella sola Alberta (dati 2022). Del resto, quelli nei campi estrattivi — dove il termometro scende anche a meno 35, i turni durano 12 ore e si vive per mesi lontani dai propri cari — sono mestieri ben retribuiti. Per molti, gli unici ben retribuiti cui ambire. Ma sono anche durissimi. «Io ci sono andata senza sapere nulla», spiega Beaton a 7. «Nel 2005, nessuno parlava di cambiamento climatico, diritti delle comunità native, violenza coloniale. La Rete non era una fabbrica di conversazioni, come ora. A Long Lake (uno degli impianti in cui ha lavorato, ndr) non avevo nemmeno Internet per la maggior parte del tempo. C’erano solo i telefonini. Si viveva nei campi,
Kate Beaton nel graphic novel Ducks racconta i due anni passati negli impianti di estrazione e lavorazione del bitume, fra isolamento e violenze sessuali. «Nel libro ho usato il vero nome delle compagnie: perché dovrei proteggerle?»
non si vedeva mai il mondo esterno. Ci voleva tempo per rendersi conto di come stavano davvero le cose. Quello non era solo un lavoro, ma un’immensa operazione che danneggiava irreparabilmente la Terra e stava facendo ammalare di cancro le persone delle comunità native a valle. Una volta che te ne rendi conto, non puoi tornare indietro. Puoi solo farci i conti». Ha spiegato che lavorare nelle oil sands le stava «divorando l’anima». Quando se ne è resa conto?
«Non sono sicura. Mentre lavori, quella è la tua vita, non ti sembra di avere molte opzioni. Tiri dritto. Solo quando ti guardi indietro riesci a vedere il quadro generale».
Chi, o cosa, l’ha salvata?
«Iniziare a fare fumetti online, durante il mio secondo anno nei campi, è stato significativo. Dopo il lavoro, disegnavo le strisce, le pubblicavo e vedevo le persone parlarne: mi sentivo parte di quel mondo, mi sentivo me stessa. La gente mi vedeva per quello che ero davvero — cosa che al lavoro non succedeva — e questo mi ha salvato dalla depressione e dalla sensazione di essere persa che avevo provato durante il primo anno. Sentivo di avere uno scopo. Avevo qualcosa da aspettare con trepidazione».
Il fatto di trovarsi in quel contesto alimentava la sua creatività, o al contrario, era un ostacolo?
«Entrambe le cose. Non era un luogo ideale in cui iniziare una carriera. Mi sentivo lontanissima da qualunque cosa