SECCHEZZA OCULARE? PROVATE CON QUALCHE GOCCIA DI INGEBORG BACHMANN
La poesia come medicina? Ne è nato un dibattito tra i lettori della newsletter di questa rubrica che, come in ogni ufficio disfunzionale, dà il meglio di sé nelle chiacchiere tra chi è in fila. Scrive Loretta Signoretto, da Verona: «Caro Ufficio Posie Smarrite, vi frequento da tanto, sono una farmacista, ex dirigente aziendale e quindi in teoria coltiverei razionalità, ma per me l’espressione poetica è l’aiuto più potente che abbiamo. Agli amici, a volte, più che consigliare un farmaco, consiglio dei versi, come questi, come consolazione e resistenza alle avversità: “Opponi lo scudo / impugna la spada / e affronta la sorte / che ti ha favorito”». Risponde Giuseppe De Iaco, che segnala il romanzo Una Piccola Libreria a Parigi di Nina George, dove il protagonista è un cinquantenne che ha una libreria galleggiante sulla Senna, una specie di farmacia letteraria, perché lì si trova il libro giusto per ogni problema. Il libraio trova la cura per tutti, salvo che per sé stesso e le sue pene d’amore.
Facciamo una prova con un disturbo molto diffuso: la scarsa empatia. La imputiamo agli altri, legata al deficit di attenzione, alla sindrome da abbandono, ma noi cosa facciamo per stimolarla? Consiglio Invocazione all’Orsa Maggiore di Ingeborg Bachman (Adelphi), a cura di Luigi Reitani. Sono versi all’insegna dell’apostrofe, dell’allocuzione, dove il monologo lirico si fa dialogo, per parlare con i vivi e i morti, le piante, gli animali e le cose, persino quelle rotte dentro, come i cocci del Testaccio di Roma, dove la poetessa austriaca ha vissuto a lungo. Era il colle dove si ammassavano i resti di anfore e altri vasi. Per i più sensibili, c’è un effetto collaterale: vien voglia di piangere, un po’, all’inizio della terza strofa. E forse non è un male.
IL COLLE DEI COCCI ALTRO NON È CHE IL TESTACCIO DI ROMA, DOVE C’È UNA BROCCA ROTTA PER OGNI COSA