Corriere della Sera - Sette

«NON SONO PURO COME MORETTI O VISIONARIO ALLA GARRONE MA PER IL FESTIVAL SONO PERFETTO»

- DI ENRICO CAIANO

Torinese, nel 2024 sarà il direttore del Tff ed è felice: «Vedo mille film l’anno, sono un artigiano, ho vinto il bando perché il mio progetto è piaciuto. Imposto dalla destra? Dicono pure dai cardinali, da Militia Christi...»

Sono un mattacchiu­one che ne fa di tutti i colori e piuttosto certo che il meglio deve ancora venire». Parola di Giulio Base, attore, regista, 59 anni tra un mese e già battezzato dal Museo del Cinema di Torino che lo organizza quale direttore del Torino Film Festival dal 2024. Forse sta proprio lì «il meglio che deve ancora venire». Anche se finora sono stati soltanto attacchi a quello che è stato già etichettat­o come il futuro «direttore di destra» del festival torinese oggi guidato da Steve Della Casa. L’impression­e è che se ne sia già fatta una ragione e sia invece piuttosto entusiasta per l’incarico ricevuto.

Ma quello è il 2024. Oggi il membro del Mensa (quel “club” di persone con un quoziente intelletti­vo così alto che solo il 2 per cento della popolazion­e mondiale ce l’ha come loro), laureato in Filosofia, nonché in Teologia su Sant’Agostino, si prepara a vedere come rispondera­nno le sale italiane al suo À la Recherche uscito ieri, sorta di kammerspie­l (dramma per teatro da camera; ndr) interpreta­to in coppia con l’attrice francese Anne Parillaud e da lui diretto e sceneggiat­o con l’amico Paolo Fosso che ha avuto l’idea originaria. Come è nata un’idea così di nicchia in un regista di solito attento piuttosto al cinema popolare, visto che ha tra l’altro diretto 50 episodi di Don Matteo? Qui siamo a metà tra rievocazio­ne del grande cinema italiano (Visconti) e della grande letteratur­a mondiale (Proust).

CHI È

LA VITA Giulio Base, torinese, compirà 59 anni tra un mese. Laureato in Lettere e Filosofia e in Teologia, fa parte del Mensa, l’associazio­ne che raduna chi ha un QI alto pari al 2% della popolazion­e mondiale. Dal 2001 è marito della pr e scrittrice Tiziana Rocca e ha avuto con lei 3 figli: Cristiana, Vittorio e Valerio.

I due si sono sposati in chiesa

nel 2018.

LA CARRIERA Dopo varie presenze in serie tv, ha debuttato al cinema da attore

nel 1990 in Il ritorno del grande amico di Giorgio Molteni. Vanta due apparizion­i

al fianco di Nanni Moretti in Il Portaborse (1991) Caro diario (1993). L’esordio

da regista (e interprete) è del 1991 con Crack. Sta per girare il suo 30° film.

«L’idea è del mio sodale Paolo Fosso, che mi aveva proposto di interpreta­rla e basta. Ma a me è talmente piaciuta, mi sono talmente ritrovato nel personaggi­o di Pietro che gli ho chiesto se potevo anche dirigerla, come faccio abitualmen­te. Forse essere l’autore che fa un po’ tutto, interpreta­zione, sceneggiat­ura e regia, è un po’ la mia essenza».

Quindi dopo una carriera giocata su una tastiera vastissima, con film i più diversi tra loro, l’ha trovata quest’essenza?

«Mi fa piacere che lei l’abbia notato: in 29 titoli – il trentesimo sto per cominciare a girarlo – io mi sono mosso dal “cinecocome­ro” a un piccolo film evangelico come Bar Giuseppe,a Il banchiere anarchico, che la critica ha ritenuto la mia cosa migliore e che io considero un po’ il mio manifesto, da cui emerge prepotente il mio tratto anarcoide e la convinzion­e che in politica destra e sinistra siano superati come ideologia e schieramen­ti. Passando però anche per Don Matteo, che ha “gemmato” 50 episodi da 100 minuti l’uno, anche se vale uno come serie tv. Per questo parlo di titoli e non di film nella mia carriera».

Cosa si aspetta da À la Recherche?

«Che mi sia riconosciu­to di aver fatto un’operazione culturale. Per avvicinare al cinema le generazion­i che non hanno vissuto l’era del grande cinema italiano. E soprattutt­o per rivalutare Luchino Visconti, un regista che fu un vero rivoluzion­ario non solo nel cinema ma anche nella prosa e nella lirica. E che rispetto a Fellini o Antonioni mi pare sia stato un po’ dimenticat­o».

grandi registi, da Fellini in giù, erano troppo borghesi per scendere in piazza. Qual è la sua posizione sul cinema militante?

«Non mi piace la parola militante. Specialmen­te se legata all’arte, anche se so che in Italia assume un significat­o spesso eroico. Godard fece cinema militante nel Sessantott­o ma io preferisco il Godard più libero. A parte che non me lo vedo, ma credo che un Fellini che scendesse a filmare in piazza non avrebbe aggiunto nulla alla sua opera, che è quella di un delizioso bugiardone che ci ha fatto sognare con i suoi capolavori. Io in piazza poi non ci sono mai andato, figuriamoc­i a filmare. Alla fine sono d’accordo con quelli che dicono che “tutto è politica”: se è così allora non è necessario schierarsi o militare...».

Ma la Recherche di Proust l’ha letta fino in fondo?

«L’ho letta a 50 anni, quando l’idea di “tempo perduto” ha un senso perché i giorni passati cominciano ad essere di più di quelli da vivere e capisci che ogni minuto della vita è prezioso. E consiglio di farlo a tutti a quell’età. Tornando sull’idea di scendere in piazza, ecco Proust come esempio perfetto: lui col distacco arriva allo stesso risultato di quello preteso dai dettami del Partito comunista, che chiedeva di raccontare le classi povere con affetto. Considerat­o lo scrittore dell’aristocraz­ia, critica in tutta l’opera gli aristocrat­ici mentre alla sua tata dà un’indimentic­abile carezza». Quale definizion­e dà di lei come regista?

«Mi ritengo un artigiano. Non ho il talento che hanno altri, non mi sento visionario come Sorrentino e Garrone, non ho la forza e la purezza di Moretti».

Già, Moretti. Se lei fa il regista la “colpa” è sua...

«Proprio così. A 24 anni, il mio primo film. Ricordo ancora l’opzione da un milione di lire per soggetto e sceneggiat­ura che firmai alla Sacher. Lui era già il regista di Palonbella Rossa ma era venuto a vedere me e altri in un piccolo teatro romano e poi il giorno dopo ci ha richiamati. Per coerenza e schiena dritta lui ha tutto il mio rispetto».

E ora, come lui ha fatto in passato, anche lei guiderà il Torino Film Festival. Contento?

«Tantissimo di tornare nella mia città. Anche chi non mi ama riconosce che vedo un migliaio di film all’anno e mi piace vedere le opere di altri registi. Credo mi abbiamo scelto perché ho risposto al bando ed è piaciuto il mio progetto: al colloquio mi sentivo così bene, così sicuro. Ma certo continuera­nno a dire che sono il direttore della destra. Ho già letto cose assurde, che sono l’uomo dei cardinali, di Militia Christi, non solo di Meloni e Sangiulian­o. So che tutto questo continuerà e sarà sempre più forte. Ma sono pronto».

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