ZzaRdOpaTiA USIAMOLA INVECE DI LUDOPATIA IL GIOCO IN SÉ NON È PATOLOGICO
Non chiamiamola più ludopatia. Perché nel gioco, quello vero, non ci può e non ci deve essere sofferenza: pathos sì, d’accordo, ma non patimento. E infatti nel gioco d’azzardo non c’è niente di ludico, ovvero – cito dal vocabolario Treccani – «attinente al gioco, al giocare, con particolare riferimento all’aspetto libero e gioioso del gioco» e «per estensione, che non impegna, giocoso, spensierato». Così come non c’è niente di patologico nelle parole italiane finora derivate dall’etimo latino ludus, «gioco». Non – ovviamente – in ludoterapia, che circola dagli Anni ’60 del secolo scorso; non in ludoteca (dagli Anni ’70) e ludotecario (Anni ’80); non in ludologo (primi Anni ’90) e in ludolinguistica, risalente alla fine degli Anni ’90: lo stesso momento in cui ludopatia veniva importata dallo spagnolo. Non c’è nulla di libero e spensierato nell’esperienza di chi per colpa del gioco d’azzardo si è rovinata la vita. È quel particolare tipo di “gioco” a portare facilmente verso una dipendenza che nelle classificazioni della psicologia è chiamata «Disturbo da gioco d’azzardo» o «Gioco d’Azzardo Patologico». Non patologia da gioco, ma specificamente da gioco d’azzardo. Ed è per questo che sarà bene chiamarla azzardopatia.
Certo: invertire la tendenza non sarà facile, perché dai primi anni Duemila ludopatia ha preso a essere usata sempre più spesso. Oggi secondo Google si trova in 717.000 pagine in italiano contro le 13.500 di azzardopatia (documentata solo dal 2013); per ludopatico 12.300 pagine, per azzardopatico appena 66. Il suffisso -patia, dallo stesso etimo greco di pathos, può riferirsi in italiano a sentimenti (simpatia, antipatia) o a malattie, di solito con riferimento al distretto anatomico in cui si verifica la sofferenza. In cardiopatia, ad esempio, il cuore (dal greco kardìa) è ciò che soffre: si dice che un cardiopatico soffre di cuore non per il cuore e anche in cardioterapia il cuore rappresenta l’oggetto della cura. In ludopatia, invece, quel ludo- è ciò che fa soffrire; proprio come in ludoterapia è lo strumento della cura. Ma come può qualcosa di patologico servire anche come cura? Usare azzardopatia serve a evitare ogni ambiguità: a non lasciar intendere che a far male possa essere il gioco in quanto tale. Non sarà un caso, d’altronde, che per riferirsi ai disturbi alimentari la definizione corrente non sia «cibopatia» né si ricorra a «sportpatia» per l’ossessivo bisogno di praticare sport. Di calciopatia si parla ogni tanto, ma – appunto – solo per gioco …
INVERTIRE LA TENDENZA NON SARÀ FACILE MA POTREBBE CONTRIBUIRE A FARE CHIAREZZA